mercoledì 19 marzo 2014

Cattura cinghiali, il Parco Gran Sasso: «procedure legittime e gabbie regolari»

«I protocolli utilizzati sono in regola»

ASSERGI. «Le gabbie di cattura, il processo partecipativo e la filiera del cinghiale. A chi giova bloccare tutto ciò?»
Il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga ha tenuto oggi ad Assergi una conferenza stampa per ribadire la legittimità ed il valore del proprio piano di contenimento del cinghiale erespingere al mittente le accuse di illegittimità del processo, circolate nei giorni scorsi.

«Operiamo con senso di responsabilità – ha dichiarato il presidente Arturo Diaconale - nei confronti del territorio e delle popolazioni. Le esperienze del passato ci insegnano che tale operato è il più opportuno e proficuo e mi auguro lo stesso senso di responsabilità possa essere dimostrato anche da quanti non considerano le conseguenze dei propri esposti fondati sul nulla».
Presenti il Direttore Marcello Maranella, il Responsabile del Servizio ScientificoFederico Striglioni, il veterinario dell’Ente Umberto Di Nicola e quanti al Parco sono impegnati nel campo, con l’ausilio di materiali foto e video sono state illustrate le procedure, le tecniche e gli strumenti utilizzati per la cattura degli ungulati, che avvengono «nel rispetto di tutti i protocolli sul benessere animale» e con la partecipazione attiva dei veterinari ufficiali delle ASL, «che rilasciano appositi certificati di idoneità al trasporto e alla macellazione».
Soprattutto, sono stati riaffermati gli obiettivi e le ragioni di una «buona pratica» che dal 1999 ad oggi ha consentito di catturare 9.000 cinghiali nelle aree critiche dell’area protetta; intervento che, accanto ad azioni di prevenzione, come la distribuzione e la realizzazione di recinzioni per le colture, «ha determinato una sensibile diminuzione dei danni e quindi degli indennizzi erogati».

UNICA OPZIONE PERSEGUIBILE
«L’opzione dei recinti di cattura resta l’unica perseguibile - ha sottolineato Maranella - per efficacia, economicità e sicurezza e, non ultimo, per il beneficio economico che può derivare ai territori dall'avvio di una filiera legata alla lavorazione e alla commercializzazione della carni di cinghiale». 
Come, è stato ricordato in conferenza stampa, nella esperienza realizzata ad Amatrice che ha condotto, superate annose e dure contrapposizioni, alla nascita di un Consorzio Cooperativo tra agricoltori per la gestione della filiera del cinghiale. «Una buona pratica tale da poter essere replicata, nell’ambito di un processo partecipativo con gli attori locali: istituzioni ed agricoltori, anche in altri comuni come Ofena e Isola del Gran Sasso, dove è in atto la prosecuzione del progetto».
Tutto in regola, è stato ribadito, anche con le Leggi, in quanto le catture – previste all’interno del Piano di Gestione della specie - «sono effettuate ai sensi della Legge 394».
Secondo il Parco l’equivoco su cui si basano le reiterate accuse di illegalità del processo «è in un’erronea interpretazione della Legge 157/92 sulla caccia, che disciplina appunto lo sport della caccia e che non si applica all’interno delle aree protette. Inoltre, il piano di gestione, redatto in base alle linee guida del Ministero dell’Ambiente, viene applicato una volta sentito il parere dell’ISPRA e dopo l’approvazione da parte dello stesso Ministero».
«Il Piano di gestione del cinghiale», si spiega ancora, «mira anche alla conservazione di una popolazione di cinghiali ben strutturata per età e sesso, onde salvaguardarne il ruolo ecologico di principale risorsa trofica per il Lupo e contribuisce alla tutela dell’Orso bruno marsicano, in considerazione dell’importanza che il territorio del Parco può o potrà rivestire per la sopravvivenza della specie minacciata, eliminando motivi di conflittualità tra le popolazioni e la fauna selvatica».

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