sabato 16 marzo 2013

Febbo: Caccia in Abruzzo, sciacallaggio contro buon lavoro della Regione

L'Aquila. In Trentino alcune associazioni animaliste ed ambientaliste tra cui il Wwf hanno votato un provvedimento che tiene conto delle dinamiche riproduttive delle specie, in particolare degli ungulati.

Prima uccidere i cuccioli di cervo o capriolo. Poi la madre. Lo dice la Clausola ad un comma del regolamento del Comitato faunistico provinciale del Trentino richiesta dagli ambientalisti per evitare la sofferenza dei piccoli. A volerlo e votarlo sarebbero stati proprio i rappresentanti del Wwf e del Pan Eppaa. Un atteggiamento certo estremo, ma che dimostra come sia possibile ed anzi opportuno effettuare una gestione faunistica consapevole, con il coinvolgimento di tutte le parti interessate.
“In Abruzzo invece, dove ad oggi è comunque vietato cacciare sia i cervi sia i caprioli, abbiamo assistito all'inutile e puerile battaglia del Wwf, e di alcuni consiglieri regionali che l'hanno sostenuta, contro il documento 'Indirizzi generali di gestione per la popolazione di cervo e capriolo' – dichiara l’assessore regionale Febbo - tale documento, é bene ricordarlo, fissa importanti principi ed introduce regole basilari per una corretta gestione faunistica degli ungulati, che contemperi le esigenze di tutti i soggetti (animalisti, cacciatori, agricoltori, istituzioni, organismi di vigilanza, etc) in qualche modo e a diversi livelli coinvolti nella gestione stessa.

Per la prima volta nella Regione Abruzzo é stata adottata una simile iniziativa, sicuramente meritevole, specie in considerazione della 'qualifica' dell'Abruzzo come regione verde d'Europa, ma tale provvedimento é stato fortemente criticato, addirittura tirando in ballo Bambi e l'innocenza del mondo delle favole, con un accanimento che, alla luce del recente provvedimento del Trentino - conclude Febbo - appare ora più che mai squisitamente politico e teso a strumentalizzare qualsiasi azione positiva ed al passo coi tempi intrapresa da questo assessorato in campo faunistico”.

mercoledì 13 marzo 2013

Chieti. Problematica cinghiali: D'Amico scrive al presidente della Regione e ai responsabili delle commissioni agricoltura, caccia e pesca

CHIETI. Lettera sulla problematica dei cinghiali scritta dal consigliere provinciale e capogruppo P.D., Camillo D'Amico, al presidente della Provincia, Enrico Di Giuseppantonio, al Consigliere delegato alla caccia e pesca, Giovanni Staniscia e al Presidente della commissione consiliare Agricoltura, Caccia e Pesca, Franco Moroni:
"Gentilissimi Presidenti della provincia e commissione consiliare, consigliere delegato,
la notizia riportata da tutti gli organi stampa e televisivi dei cinghiali contaminati da materiale altamente radioattativo riscontarti tra i resti di quelli abbattuti in Valsesia, provincia di Vercelli, non deve lasciarci disinteressati. 
Il fatto che i cinghiali siano presenti su tutto il nostro territorio provinciale in numero elevato e, probabilmente, molto superiore alla norma non deve essere certificato da nessuno perché è un dato visivo e concreto riscontrato quotidianamente. 
La cosa è talmente palese che, al di là dei frequenti fatti di cronaca ove si annotano avvistamenti di branchi e d’incidenti anche gravi, è a Voi noto quanto possente sia il fenomeno del bracconaggio che alimenta l’illegale mercato della carne di quest’ungulato; tra l’altro qualche evento luttuoso è già accaduto purtroppo non adeguatamente sanzionato. 
Non intendo ancora qui alimentare una sterile quanto inutile polemica allorquando, all’inizio dell’attuale legislatura, avete bloccato l’avvio di un programmato regolamento che tendeva a porre rimedio all’alto ed incontrollato numero di cinghiali presenti nel nostro territorio; quella scelta, che aveva una sua verifica dopo già dal suo primo anno di applicazione, era stata faticosamente portata a compimento dall’ex assessore alla Caccia e Pesca, Antonio Tamburrino, tentava di dare un controllo al territorio. 
Voi fermaste quella scelta per puro calcolo elettorale ma, da allora, nulla avete fatto. 
La notizia che proviene dalla provincia di Vercelli non rende noi immuni dal medesimo pericolo per il solo fatto che qui i controlli sanitari sui capi abbattuti non è obbligatorio. Il regolamento da noi predisposto e da voi bloccato lo prevedeva. 
Vi chiedo pertanto:
- la predisposizione di un regolamento atto a garantire il controllo sistematico del territorio che si contestualizzi con un contenimento numerico della specie cinghiale;
- la predisposizione di un accordo di programma con il servizio veterinario dell’ASL Chieti – Lanciano – Vasto che renda obbligatorio il controllo sanitario di tutti i capi abbattuti alfine di avere certezza nei consumatori per la successiva commestibilità; 
- l’aumento dei controlli sul territorio che prevenga e combatta il grave ed illegale fenomeno del bracconaggio.
Le province come istituzione, probabilmente, andranno a finire. 
Personalmente non sono daccordo anche se ritengo vadano profondamente riviste per funzioni e dimensioni amministrative, pur dovendo le stesse mantenere una piena legittimazione democratica a carico dei cittadini elettori per quanti sono chiamati al governo ed all’opposizione, ma è in questa fase storica che bisogna dimostrare prontezza adeguata nel dare risposte ai problemi di cui si ha ancora competenza. 
Questa che vi sottopongo ne è una importante di cui i cittadini hanno piena contezza. 
Mi aspetto una risposta ed un iniziativa solerte.
Con immutata stima porgo cordiali saluti".

giovedì 7 marzo 2013

Aielli (AQ), caccia nel parco: indagati 5 bracconieri

Aielli, caccia nel parco: indagati 5 bracconieri

Accusati di associazione a delinquere, sequestrati fucili e trofei. Per uccidere utilizzavano anche trappole e bocconi di carne avvelenata

AVEZZANO. Associazione a delinquere finalizzata al bracconaggio nel parco regionale Sirente Velino. Con questa accusa il pubblico ministero Guido
Cocco ha chiuso l’inchiesta a carico di cinque persone di Aielli. Si tratta di Giuseppe Cesarini, 58 anni, Emilio Angeloni (64), Sergio Angeloni (60), Antonio Macerola (65) e Daniel Ioan Chetan (30).
Secondo le accuse i cinque hanno «esercitato più volte la caccia di animali (alcuni dei quali protetti) quali lupi, cinghiali, fagiani, cervi, caprioli, coturnici, allodole cappellute, gallinelle d’acqua, picchi rossi, pernici, germani reali all’interno del perimetro del parco regionale Sirente Velino con il ricorso a mezzi vietati (trappole e bocconi di carne avvelenata) e, in alcuni casi, persino in divieto di divieto generale».
I presunti reati, sempre in base a quanto ricostruito durante le indagini, sono stati commessi dal gennaio 2010 all’8 settembre 2011. Macerola è un maresciallo dell’Esercito in pensione. Emilio Angeloni è accusato anche di avere illegalmente detenuto, nonostante il divieto di revoca del porto d’armi, una serie di armi, fra le quali fucili e pistole.
Le indagini sono state portate a termine dal Corpo forestale dopo la segnalazione arrivata «dal mondo venatorio». In pratica, alcuni cacciatori rispettosi della legge si sono ribellati e hanno segnalato azioni illegali all’interno dell’area protetta.
In abitazioni e garage degli indagati sono stati sequestrati dieci fucili calibro 12 a canne lisce più lunghe del normale e con visori notturni, una carabina calibro 22, un fucile a canne mozze e fucili ad aria compressa. Ma c'erano anche coltelli e una roncola. Nei congelatori dei frigoriferi anche carne di animali cacciati. Senza contare i trofei, fra cui una testa di cervo. Uno degli indagati, sempre in base a quanto accertato dalla Forestale, esibiva in casa la foto di un lupo appena ucciso. I cinque indagati avrebbero agito fra Aielli, Cerchio, Ortona dei Marsi, Venere, Gioia e altri territori del parco Sirente Velino.
Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Salvatore Carmelo Occhiuto,
Franco Colucci, Domenico Simone, Domenico Massaro, Patrizia Coletta e Antonio Milo.

mercoledì 6 marzo 2013

Casalbordino: il morto ammazzato vale 16 mesi di pena

A CACCIA
Lo uccise scambiandolo per un cinghiale, condannato ad un anno e 4 mesi
L’uomo ha patteggiato

VASTO. Ha patteggiato davanti al Tribunale di Vasto la pena a un anno e quattro mesi di carcere per omicidio colposo F.T., 60 anni di Casalbordino.
L’uomo lo scorso 31 luglio uccise con un colpo di fucile il suo compaesano Gabriele Di Tullio. F.T. si era sempre difeso dichiarando che aveva colpito di notte Di Tullio in un appezzamento di terreno in località San Pietro Sud a Casalbordino scambiandolo per un cinghiale. Il tribunale ha accolto le richieste avanzate dalla difesa dell'imputato di patteggiamento assolvendo Di Tullio dall'accusa di omissione di soccorso. L'udienza si è tenuta a porte chiuse.
Di Tullio venne ritrovato morto alle 5 di mattina dal nipote in un campo di famiglia in località San Pietro Sud, lungo la strada statale 16, a pochi chilometri dallo svincolo autostradale Vasto Nord dell'A14, ucciso qualche ora prima da un colpo d'arma da fuoco che gli recise l'arteria femorale della gamba sinistra. Una volta colpito, l’uomo avrebbe compiuto pochi passi prima di cadere faccia a terra sotto un ulivo. Nei pressi del cadavere vennero trovate una decina di pannocchie, raccolte poco prima di morire tra le piante alte all'incirca un metro e ottanta. L'auto della vittima, una Opel Corsa Bianca, venne ritrovata parcheggiata sul ciglio della strada. Proprio questo lasciò pensare che l’omicidio si fosse compiuto proprio lì dove il corpo venne trovato trovato. Fin da subito gli inquirenti sospettarono che la morte fosse stata accidentale. L'uomo aveva perso la moglie una decina di anni fa, e aveva due figlie di 13 e 20 anni.