giovedì 20 giugno 2019

Cinghiali, il professor Mazzatenta: "L’abbattimento massiccio li fa riprodurre ancora di più"

L'abbattimento massiccio non diminuisce, ma aumenta il numero dei cinghiali. Soprattutto se attuato con la tecnica della braccata.

È la conclusione cui è giunta la ricerca del professor Andrea Mazzatenta, docente di psicobiologia e psicologia animale all'Università di Teramo, che ieri ha presentato in risultati dello studio nel dibattito dal titolo Il buono, il brutto e il cattivo. Le ragioni biologiche della diffusione del cinghiale e i problemi giuridici annessi, organizzato e moderato dall'avvocato Angela Pennetta, presidente del comitato civico L'Arcobaleno. Nel Teatro Figlie della Croce si sono confrontati i professori Mazzatenta e Corrado Cipolla d'Abruzzo, esperto balistico, il presidente del Tribunale, Bruno Giangiacomo e il giudice di pace Alessandra Notaro, che hanno parlato degli aspetti giuridici legati ai danni causati dai cinghiali, e il sindaco di Vasto, Francesco Menna.

Mazzatenta, nelle slide mostrate ai numerosi presenti, ha ricordato che in Toscana, con l'abbattimento, "il numero di esemplari è raddoppiato, raggiungendo le 200mila unità".

"I motivi sono diversi. Ci sono cause remote e cause prossime. Inizialmente, negli anni Cinquanta, sono stati introdotti cinghiali dall'Est Europa, molto più prolifici e più grandi e di facile adattamento rispetto al nostro piccolo cinghiale italico. A questo si sono aggiunti problemi che hanno spostato, dal punto di vista biologico, la riproduzione di questo animale, per cui siamo andati da una riproduzione naturale con strategia K a una riproduzione innaturale, di alta pressione, con strategia R. Quando il cinghiale è pressato, siccome è una preda, mette in moto meccanismi fisiologici per aumentare il numero degli individui della specie ed evitare di estinguersi. Paradossalmente, più noi lo pressiamo, gli spariamo, anche con tecniche molto invasive come la braccata che, tra l'altro, è stata appena sospesa dal Tar toscano il 9 maggio di quest'anno, succede il contrario di quello che ci aspettiamo: il numero di cinghiali aumenta invece di diminuire, perché la società del cinghiale è matriarcale, basata sulle famiglie governate dalle matrone, che emettono una sostanza particolare denominata feromone, che blocca l'estro delle femmine". Quando la mamma viene uccisa, "si liberalizza la riproduzione delle figlie, perché viene a mancare questo blocco fisiologico della riproduzione. Di conseguenza, invece di avere 5-6 cuccioli da una mamma anziana, si avranno da 7 a 10 cuccioli da femmine giovanissime e questo porterà a un incremento esponenziale della riproduzione, quindi, si avranno 50-60 cuccioli da una famiglia. Discorso simile per i maschi. Se si uccidono i maschi anziani, che sono molto potenti, si da il la a maschi giovani, che fanno riprodurre in maniera esponenziale le femmine".

Il rimedio, secondo Mazzatenta, non è l'abbattimento: "Le strategie sono molteplici. Una di queste è far invecchiare le popolazioni di cinghiale, dare delle aree cuscinetto, limitare la pressione sull'animale, che diventerà stanziale, tenderà a muoversi molto meno, diventerà territoriale, si muoverà pochissimo, entro un'area come quella di una fattoria. Per limitare gli incidenti stradali: contare i punti di attraversamento, creare dei varchi sotto le strade in corrispondenza di questi attraversamenti ed introdurre dei rallentatori luminosi, che hanno dei sensori di prossimità e, quando si avvicinano i cinghiali, emettono delle luci, per cui l'automobilista può rallentare la velocità. Per evitare l'ingresso nei campi coltivati, si può fare ricorso alle recinzioni elettrificate e ci sono tante altre tecniche".

Le relazioni di Mazzatenta e Cipolla hanno suscitato un vivace dibattito. Un agricoltore è intervenuto più volte dalla platea per contestare quanto affermato da due relatori e raccontare di aver subito danni per decine di migliaia di euro. Michele Bosco, presidente dell'associazione Terre di Punta Aderci, che ha raccolto 2mila firme a sostegno della petizione consegnata alla Regione, ha raccolto la sfida di unire le forze del comitato che presiede e di quello di Angela Pennetta.

Sotto l'aspetto giuridico, il presidente del Tribunale di Vasto, Bruno Giangiacomo, ha sottolineato l'importanza dell'opera di prevenzione, necessaria ad evitare i danni e le conseguenti azioni risarcitorie.


Fonte: zonalocale.it del 16 giugno 2019

sabato 15 giugno 2019

CINGHIALI: RISERVA PENNE, ''CACCIATORI CONTRARI A RECINTI PERCHE' FUNZIONANO'

GESTORI A ROSSI (COSPA), ''DA LUI ACCUSE GRAVI E GRATUIITE, NOSTRA SPERIMENTAZIONE IN PIENA REGOLA ED EFFICACE'', ''BESTIALITA' VOLER APRIRE CACCIA IN UNA RISERVA''.
 
CINGHIALI: RISERVA PENNE, ''CACCIATORI CONTRARI A RECINTI PERCHE' FUNZIONANO''
di Filippo Tronca


PENNE - "Il motivo per cui i parte dei cacciatori sono contrari ai recinti di cattura è semplicissimo: funzionano bene, e riducono il numero di cinghiali, e dunque i danni alle colture. E loro avrebbero meno animali a cui sparare".

Una replica secca, e che va al nocciolo del contendere, quella di Osvaldo Locasciulli, biologo della Cogecstre, che gestisce la Riserva naturale regionale lago di Penne, in provincia di Pescara, che si aggiunge alle durissime considerazioni del presidente Fernando di Fabrizio, uniti nel contrattaccare al fuoco di fila di accuse dell'allevatore e cacciatore Dino Rossi. dell'associazione Cospa.

Rossi ha presentato una segnalazione alla Procura della Repubblica di Pescara, dopo che il consiglio comunale di Penne, l'8 maggio scorso, ha approvato un regolamento per ridurre il numero di cinghiali nell’area protetta della riserva, tramite l’adozione di recinti di cattura, di cui uno entrato in fase di sperimentazione, catturando già 30 ungulati. Rossi ritiene infatti l'iniziativa "illegale", in quanto a suo dire "la legge italiana vieta l'utilizzo delle gabbie, e le direttive della Comunità Europea, ritiene questo metodo "non selettivo della specie, e pericoloso per altre specie di animali". E comunque nel caso di Penne, per Rossi ci sarebbero "irregolarità nella fase di costruzione" delle gabbie, e soprattutto, in ogni caso non può essere un Comune a decidere di collocare gabbie di cattura, ma semmai la Regione. Rossi infine ribadisce contro gli "animalisti di turno" che l'unica soluzione è sparare ai cinghiali, anche dentro i Parchi e le Oasi

Tutto falso e fuorviante, ribatte però punto su punto ''l'ambientalista di turno'' Locasciulli.

"Se il signor Rossi ritiene che la legge sia stata violata, faccia quello che ritiene giusto, noi non abbiamo proprio nulla da temere", esordisce, entrando poi nel merito del progetto in fase di sperimentazione nell'Oasi.

"L'iniziativa è nata a seguito di una richiesta di agricoltori e allevatori che vivono e lavorano dentro l'area protetta, danneggiati dal numero eccessivo di cinghiali. Abbiamo pertanto attivato un piano che prevedeva come soluzione ottimale per un' area protetta l'utilizzo di un recinto di cattura. Ci siamo attenuti ovviamente a tutte le normative di legge, in liena con quanto raccomanda l'Ispra nelle ''Linee guida per gestione del cinghiali nelle aree protette".

Del resto, spiega Locasciulli, “la nostra è un'area protetta di pochi chilometri quadrati, frequentata tutti i giorni da molti turisti, ma anche abitata da 150 nuclei familiari, e buona parte delle terre è coltivata. Da qui la scelta più logica, quella dei recinti di cattura. Nel Parco nazionale del Gran Sasso Monti della Laga sono stati catturati oltre 10 mila cinghiali, e avviati alla filiera che prevede il trasporto in mattatoio, o in aree faunistiche venatorie”

Assurda l'alternativa di aprire la caccia nell'area protetta. “ Rappresenterebbe un grave pericolo per la pubblica incolumità: si usano infatti armi che hanno gittata a anche di 5 o 6 chilometri, si rischia seriamente di abbattere esseri umani, oltre che cinghiali. Altro rischio è il rapporto tra colpi sparati, e animali abbattuti, i primi sono molto più numerosi, in che significa che molti animali vengono solo feriti, e diventano molto pericolosi”.

Ancor più nel merito delle accuse di Rossi entra il presidente Cogecstre Fernando Di Fabrizio, che ha già dato mandato ad un legale di verificarne i presupposti di una querela.

“Innanzitutto è da contestare fermamente l’assunto – esordisce Di Fabrizio - che vuole il metodo di cattura attuatosi all’interno della Riserva 'non selettivo della specie, e pericoloso per altre specie di animali'. Il modello di cattura attuato è dotato di ben quattro modi di controllo visivo. Il sistema di scatto non è meccanico e casuale, ma viene, al contrario, monitorato in diretta, e la chiusura del recinto è azionata da un operatore che può quindi decidere lui l’esatto momento della cattura, riducendo così i tempi di permanenza degli animali selezionati, ed aumentando, all’un tempo, l’efficienza complessiva dell’impianto”.

Da contestare, anche l'insinuazione relativa all' "irregolarità nella fase di costruzione" delle gabbie.

"Anche in questo caso l’assunto è apodittico ed indimostrato – attacca il presidente Cogecstre - , giacché l’impianto è stato sottoposto a verifica da parte di un ingegnere qualificato che ha redatto una relazione di collaudo. Pure indimostrata è la circostanza secondo cui: 'Queste trappole, gabbie o chiusini, che in realtà non si capisce cosa sono, se si tratta di attrezzatura o macchinari, comunque sono di oggetti costruiti abusivamente senza una scheda tecnica, senza calcoli della porta basculante messa all’estremità, senza il calcolo di rottura del cavo d’acciaio che mantiene sospeso il portellone di chiusura una volta che l’animale è dentro'. Ancora una volta, vale rimarcare l’assoluta imprecisione ed approssimazione del giudizio espresso, giacché non esiste alcun cavo di acciaio nel recinto, laddove, al contrario, risultano redatte apposite schede tecniche per ogni elemento portante della struttura".

Per Di Fabrizio anche i giudizi espressi circa i ruoli e le competenze degli enti coinvolti si dimostrano del tutto infondati.

"La Regione Abruzzo ha demandato la gestione della Riserva Naturale Controllata al Comune di Penne con Legge 26 del 1987, in applicazione dell’articolo 8 della legge regionale 61 del 1980. Anche la legge regionale 38 del 1996 sancisce che è il Comune a gestire la Riserva. Inoltre la Regione Abruzzo ha sollecitato le Riserve naturali, con due recenti Tavoli sull’Emergenza Cinghiali, in presenza delle varie autorità coinvolte (Prefettura, Carabinieri forestali, Vigilanza provinciale, sindaci ed Aree protette) ad avviare urgentemente tutte le azioni possibili allo scopo di limitare la presenza eccessiva (e persino, allarmante) dei cinghiali all’interno delle Aree protette, e di tal guisa, avviandosi così il sistema (ormai già collaudato all’interno dei Parchi Nazionali e Regionali) dei recinti di cattura".

Ma soprattutto, spiega Di Fabrizio, è fuori dal mondo l'affermazione secondo la quale "l’abbattimento della fauna selvatica che, oltre a pagare le tasse regionali e governative, muove un’economia consistente".

“E' una valutazione non in linea con quanto si legge nel Rapporto su 'L’Economia reale nei Parchi Nazionali e nelle Aree Naturali Protette'. Il Ministero dell’Ambiente e Unioncamere citano la Riserva Naturale Regionale Lago di Penne, come esempio di sistema nazionale: le aree protette come laboratori in grado di coniugare tutela della natura, sviluppo economico e nuovi modelli imprenditoriali. Nella Riserva di Penne, oltretutto, operano numerose cooperative, ben otto, legate con attività compatibili alla stessa Riserva, e dunque, non potrà essere di certo la caccia a mettere in crisi un sistema culturale, scientifico, economico e sociale ormai più che collaudato da oltre un trentennio”.

Quanto alla paventata l’estensione della caccia all’interno delle aree protette, Di Fabrizio ribatte che è “in palese violazione delle stesse disposizioni di legge, oltre ai principi di rilievo comunitario”.

E' poi falso che “queste trappole oltre a essere vietate, non rispecchiano la normativa sul benessere animale tanto sbandierata dagli animalisti di turno" e che "gli animali catturati hanno spesso divelto le grate della gabbia e sono fuggiti e gli altri rimasti intrappolati si sono fatti male tanto da lasciare il sangue fino a tre metri di altezza sulla gabbia", come ha sostenuto Rossi.

"Il recinto di cattura è alto due metri – spiega infatti Di Fabrizio - la sperimentazione attuatasi il 31 maggio 2019 è stata temporanea allo scopo di verificare lo stato di stress degli animali, tanto che la settimana successiva in presenza del Veterinario della Asl di Pescara, dottor Silvio Cardone, i cinghiali non hanno subito alcun maltrattamento, come attestato negli stessi documenti ufficiali redatti e agli atti. Anche l’ispezione sul recinto di cattura di Penne da parte del Dipartimento di Prevenzione per il Benessere Animale della Asl di Pescara non ha dato luogo a rilievi di alcun genere. Del resto, la procedura per il monitoraggio e controllo numerico per il ripristino degli equilibri ecologici all’interno dell’area protetta ha seguito un iter piuttosto minuzioso ed articolato iniziatosi già nel 2013 con continui monitoraggi. Le autorizzazioni da parte dell’Ispra per le catture di cinghiali all’interno della Riserva si sono ripetute nelle annualità 2017, 2018 e 2019. E’ stato avviato il monitoraggio sanitario e per la verifica dello stato sanitario degli animali trattati, da parte dell’Istituto Zooprofilattico di Teramo, e si è in attesa di conoscerne risultati. Per cui è del tutto evidente che il metodo sperimentato nella Riserva Naturale per il controllo numerico degli ungulati, tutela al massimo grado possibile lo stato sanitario ed il benessere degli animali grazie alla presenza dei veterinari lungo tutto il percorso della filiera".

Di Fabrizio rileva poi che “il dato emerso, sorprendentemente e con forza, nel corso del Seminario formativo tenutosi a Penne il 1° giugno 2019, è che l’alto numero di carcasse di cinghiali abbattuti con armi da sparo si sono rivelate del tutto inutilizzabili a causa delle pessime condizioni delle carni (oltre il 60% degli animali portati al mattatoio di Avezzano). Gli stessi veterinari hanno segnalato la presenza di pallottole illegali all’interno delle stesse carcasse. Bisognerebbe, infine, verificare se il numero degli esami eseguiti dall’Izsam previsti per legge corrispondono al numero dei cinghiali effettivamente abbattuti in Abruzzo”.

Se Rossi sostiene che "i Parchi e le oasi sono tutt’ora la distruzione dell’ambiente e l’unica cosa di concreto che fanno è preservare un serbatoio di voti e un proliferare di animali senza controllo”, Di Fabrizio risponde a muso duro.

"A parte la gratuità (e gravità) dell’assunto, resta persino l’incomprensibile allusione a chi sia chiamato a reintrodurre animali non autoctoni all’interno delle Aree protette (attività rigorosamente vietata dalla legge), ed altrettanto è a dirsi per i “lupi neri” che spingerebbero i cinghiali 'più cattivi' nelle aree urbane. In realtà è noto a tutti che animali selvatici, braccati e feriti, o solo disturbati dai cani (che inseguono ogni singolo cinghiale), trovano rifugio dove la caccia è vietata, e dunque, nelle aree protette e nei centri urbani. I nuovi recinti di cattura sono strumenti piuttosto efficienti per il controllo dei cinghiali dove la caccia rappresenta un pericolo per l’incolumità pubblica (sono troppi gli incidenti di caccia che si verificano ogni anno in italia nelle zone affollate). I recinti possono essere utilizzati bene, rispettando le normative vigenti, come è dimostrato in molte aree protette italiane. Dalla Stampa di Cuneo si apprende che oggi anche la Coldiretti organizza corsi per il controllo della fauna selvatica da parte degli agricoltori con i recinti di cattura”.