mercoledì 31 agosto 2016

Regione Abruzzo, depositata risoluzione urgente su emergenza cinghiali

L’Aquila. Alla luce dell’ultimo grave incidente automobilistico causato dai cinghiali sulle strade statali della Regione Abruzzo,
il Consigliere regionale Mario Olivieri, che da mesi sta conducendo un’azione serrata sul problema che è molto sentito nel territorio, ha depositato una risoluzione urgente in Consiglio regionale affinché siano adottati provvedimenti tempestivi per contrastare il problema della sovrappopolazione dei cinghiali nella Regione Abruzzo.

‘In queste ore due persone lottano tra la vita e la morte dopo avere tentato di evitare tre cinghiali che occupavano indisturbati una corsia della Strada Statale 652 Fondovalle Sangro.
 
Ora più che mai – dichiara Olivieri – si rende necessaria e indifferibile una presa di coscienza da parte delle istituzioni sulle problematiche relative alla diffusione del cinghiale, che stanno interessando tutto il Paese e gran parte dell’Europa, ma che in Abruzzo sono più critiche e diffuse che altrove, per via della capillare promiscuità di vaste aree protette con i territori a caccia programmata e quindi di territori a diverse finalità e impostazioni di gestione della fauna selvatica’.

‘Gli studi di settore, condotti con la collaborazione di numerose associazioni venatorie e di organizzazioni di coltivatori diretti dei comuni dell’Alto e Medio Sangro, ci hanno consentito di accertare che la criticità della sovrappopolazione del cinghiale (e gli altri Ungulati selvatici) sul territorio abruzzese, con particolare riferimento agli impatti sulle economie agrarie, deve essere affrontata prioritariamente attraverso una riqualificazione dell’intero impianto normativo e di pianificazione della gestione faunistico-venatoria regionale e non con l’adozione di misure estemporanee e provvisorie, quando non isolate dall’impianto strutturale amministrativo di competenza della Regione’, insiste.

Pertanto la risoluzione del Consigliere Mario Olivieri impegna la Regione Abruzzo a predisporre, d’intesa con il Ministero dell’Ambiente e il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, un tavolo permanente Regione-Aree protette nazionali per la concertazione e la condivisione di un programma di gestione del Cinghiale e degli altri Ungulati selvatici in Abruzzo, promuovendo, soprattutto, l’adozione di misure operative gestionali univoche e risolutive in tutti i territori e accelerare la redazione del nuovo Piano Faunistico Venatorio Regionale, ripensare e riscrivere le leggi nazionali e regionali di settore, adeguandole alle mutate realtà socio-economiche della nostra regione.

Fonte: cityrumors.it del 31 agosto 2016

martedì 16 agosto 2016

Cinghiali in Abruzzo, GADIT con WWF e stoccate a Federcaccia

Teramo. “Si tratta ormai di una vera e propria ‘emergenza’ legata all’espansione della specie senza più limitazioni o confini: in montagna fino a 10 anni fa, poi sulle colline coltivate ed oggi fino in città o in spiaggia”.
 
Gaetano Ercole
L’ha dichiarato Gaetano Ercole, presidente regionale GADIT, precisando che “le cause biologiche ed ecologiche di questo fenomeno che sta mettendo in ginocchio l’economia della nostra regione, come sostenuto da tutte le fonti autorevoli e accreditate nonché lette e rilette sulla stampa, sono molteplici. Non è questo però che interessa le GADIT in quanto sulle analisi tecniche lavorano già le autorità competenti in materia, come Regione, Province e Parchi, che da anni stanno tentando di mettere rimedio al fenomeno. Quello che interessa le GADIT, invece, è un’altro fattore di cui ancora pochi oggi parlano, che stà dietro la questione cinghiale e che condiziona caldamente le scelte della sua gestione, fattore che gli ambientalisti ed il WWF in primis sta giustamente tentando di far emergere in questi giorni. La questione è molto semplice. Gli agricoltori abruzzesi sono ormai assediati da orde di cinghiali che giornalmente dilapidano il loro reddito; sono loro gli unici a subire questa situazione che è solo l’ennesima tra le tante altre difficoltà che devono affrontare di questi tempi oltre alla burocrazia crescente, i mercati, il caro gasolio, ecc.. Ma il cinghiale costituisce una grandissima e crescente risorsa per il mondo venatorio: la presenza, anzi l’abbondanza, del cinghiale nei territori abruzzesi fa molto comodo principalmente alle squadre, che così si vedono accrescere gratuitamente i propri carnieri venatori”.

Per Ercole “ciascuna squadra ogni anno abbatte circa da 50 a 200 capi, cioè una quantitativo enorme di carne che se casomai dovesse essere venduto ‘in nero’, frutta cifre del tutto dignitose. Gli interessi comuni si incontrano proprio negli ATC dove in Abruzzo, come correttamente sostenuto dal Presidente WWF Di Tizio, si trovano maggioritariamente (circa l’80%) rappresentate le Associazioni venatorie e le Associazioni agricole ed in maniera del tutto irrilevante (5 %) quelle Ambientaliste. Ma non è finita qui: il paradosso ancora più inaccettabile è che in taluni ATC (come quelli teramani) a rappresentare le Associazioni agricole sono molto spesso cacciatori, che ovviamente faranno probabilmente gli interessi di questi ultimi. Quest’ultima precisazione forse è sfuggita casualmente al presidente Morelli! É come avere ‘il diavolo in sagrestia’. Alla luce di ciò potrebbero apparire più comprensibili le difese ‘sperticate’ sull’agire degli ATC da parte del rappresentante della Federcaccia Morelli, che guarda caso è la principale delle Associazioni venatorie abruzzesi presenti negli ATC”.

“Un invito doveroso va rivolto sempre al presidente delle Federcaccia sulle dichiarazioni apparse in un articolo stampa e di seguito riportate ‘dichiarazioni che hanno il sapore del populismo ambientalista, populismo che tante associazioni ambientaliste e agricole, in questi ultimi tempi, hanno scelto di abbandonare in nome di una collaborazione fattiva e proficua’; in primis dovrebbe essere più preciso sui nomi delle associazioni ambientaliste e agricole e non generalizzare com’è suo solito fare, in secundis e non per importanza, gli ricordiamo che la “gestione venatoria” non è sinonimo esclusivo di associazione venatoria! In tal senso la Regione Abruzzo, cui va comunque riconosciuto il merito di far fronte al fenomeno dei danni stimolando anche le Province, potrebbe valutare di affidare la gestione del cinghiale ed il suo “controllo” non solo in via esclusiva agli cacciatori ed agli ATC, cioè a chi potrebbe avere tutt’altri interessi che non quelli di ridurre la presenza della specie sui territori, ma anche a tecnici faunistici. E gli effetti di questa ‘Santa alleanza’, come l’ha definita Di Tizio del WWF, potrebbero essere già stati visti in diverse fasi della gestione del cinghiale: ad esempio a Teramo nel probabile stangheggio dell’approvazione del Piano quinquennale di controllo dello scorso anno (apparso lungamente sulla stampa locale); si vedono nei verosimili ritardi con cui ogni anno vengono avviate le operazioni di controllo; si vedono ancora nella strenua difesa delle ZRC cioè in quelle ‘riserve’ in cui la caccia chiusa favorisce la proliferazione dei cinghiali ed il suo effetto ‘serbatoio’ sui territori di caccia circostanti; si ritrovano infine nelle deboli operazioni di controllo che gli ATC hanno condotto quest’anno a caccia chiusa, cioè quando il fenomeno dei danno è massiccio”.

Ercole chiede alla Regione, che “tra pochi giorni dopo il passaggio delle competenze provinciali riotterrà (deo gratias) lo scettro della materia venatoria, di aprire un tavolo ‘equilibrato’ e senza il predominio dei cacciatori in cui modificare il Regolamento Regionale degli ungulati e inserendo delle normative per il per il rispetto degli obblighi e dei divieti verso il Regolamento stesso”.
 

giovedì 11 agosto 2016

Problematica “Cinghiali”. Il WWF: togliere la gestione ai cacciatori e affidarla a esperti della fauna selvatica

COMUNICATO STAMPA 9 AGOSTO 2016
 
 
Prendendo spunto dall’articolo sui cinghiali apparso il 6 agosto scorso su ecoaltomolise.net

Problematica “Cinghiali”
Il WWF: togliere la gestione ai cacciatori e affidarla a esperti della fauna selvatica


“Le immissioni a scopo venatorio, iniziate dagli Anni ’50, hanno sicuramente giocato un ruolo fondamentale nel creare la situazione di espansione e crescita delle popolazioni di cinghiale” (autori Pedrotti & Toso, 2001).

Non sono le considerazioni di associazioni ambientaliste, ma le conclusioni di diversi studi e rapporti dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), l’organismo governativo deputato istituzionalmente a effettuare ricerca sulla fauna selvatica e a emanare pareri tecnici a favore delle pubbliche amministrazioni. È evidente, quindi, la responsabilità storica sulla proliferazione dei cinghiali delle associazioni venatorie e delle amministrazioni pubbliche loro compiacenti.

Il problema è che fino ad oggi la gestione dei cinghiali non è stata affrontata in termini scientifici, ma esclusivamente in termini di ricerca del consenso della lobby dei cacciatori. Imputare alle aree protette la responsabilità dell’aumento della specie è una sciocchezza che non ha alcun fondamento. Chi si occupa di gestione faunistica sa che i cinghiali si muovono in aree di circa 2/3 km di raggio: andrebbero fatti quindi degli studi sul posizionamento delle zone di ripopolamento e cattura e delle aree cinofile, distribuite a macchia di leopardo e create proprio dagli Ambiti Territoriali di Caccia, con l’avallo delle Province.

“La santa alleanza stipulata in questi anni tra cacciatori e Regione Abruzzo ha portato al disastro nella gestione faunistico-venatoria”, dichiara Luciano Di Tizio, delegato regionale del WWF Abruzzo. “L’esempio più evidente è proprio la gestione del cinghiale, inadeguata e carente sotto il profilo tecnico e organizzativo. La Regione Abruzzo, non da oggi, è incapace di pianificare e coordinare le attività faunistico-venatorie: da anni è priva di un Piano Faunistico Venatorio aggiornato e non si è dotata dell’Osservatorio Faunistico Regionale, previsto dal 2004 e mai realizzato. Chi parla di fauna, lo fa spesso senza avere dati certi. Come si fa a gestire un problema di cui non si conosce neppure la reale portata? È notizia di pochi giorni fa che la Regione Abruzzo non ha fornito all’ISPRA neppure i dati 2014/15 sui tesserini venatori. Come si fa a pianificare l’attività faunistico-venatoria e a ridurre l’impatto sulle attività antropiche delle specie problematiche in queste condizioni?”.

Da anni il WWF sostiene che alle imprese agricole andrebbe riconosciuto un ruolo più rilevante nella gestione del cinghiale, non solo perché costituiscono la categoria che maggiormente subisce disagi, ma perché, se coinvolte nel modo corretto, possono essere una componente strategica per la riduzione del danno. Purtroppo fino a quando le Organizzazioni agricole continueranno a farsi rappresentare da cacciatori all’interno dei comitati di gestione faunistica (Ambiti Territoriali di Caccia e Consulte provinciali per la caccia), prevarranno gli interessi venatori su quelli agricoli.

L’obiettivo, ora, di cacciatori e di alcuni funzionari della Regione Abruzzo sembra essere quello di aprire la caccia nei luoghi più agognati, le aree naturali protette. Si tratta di un’ipotesi ovviamente non condivisa dal mondo ambientalista che contiene in sé la prova del fallimento delle politiche gestionali in materia faunistico-venatoria della Regione che, oltre a non avere un Piano faunistico-venatorio da anni, non ha mai concretamente attuato le “Linee Guida per la Gestione del cinghiale nelle aree protette” (ISPRA), non ha mai fatto approvare le aree contigue dei Parchi dove gestire la caccia in modo razionale creando delle zone-cuscinetto tra parchi e resto del territorio.

In altre regioni si è riusciti a ridurre notevolmente i danni in agricoltura con una gestione un minimo più razionale delle dinamiche faunistiche. Sarebbe sufficiente decidersi a compiere le scelte sulla base delle evidenze scientifiche e non ascoltando solo le chiacchiere da bar dei cacciatori! Prevenzione dei danni, catture nelle situazioni problematiche e un sistema di indennizzi efficace proprio nelle aree protette sono soluzioni applicabili, se effettivamente si vuole ridurre il problema.

Il WWF rinnova l’invito alla Regione a organizzare, con tecnici indipendenti non legati alla lobby venatoria, un momento di confronto vero e non – come tante volte è accaduto in passato – precostituito per confermare una scelta già assunta aprioristicamente.

WWF Italia Onlus, Abruzzo
abruzzo@wwf.it

giovedì 4 agosto 2016

Calendario venatorio 2016/17. Il WWF: in arrivo i soliti regali ai cacciatori!

Comunicato stampa del 27 luglio 2016



Calendario venatorio 2016/17

Il WWF alla Regione: cambiano le maggioranze, non cambiano le scelte.

Preapertura, prolungamento dei periodi di caccia, specie da tutelare inserite tra quelle cacciabili, scarsa attenzione alla tutela dell’Orso: in arrivo i soliti regali ai cacciatori! 

 

Il WWF Abruzzo ha provveduto ad inviare le proprie osservazioni alla Regione Abruzzo sul testo fatto circolare fino ad oggi del calendario venatorio 2016/17, in vista del passaggio in Comitato Valutazione di Impatto Ambientale regionale di domani, giovedì 28 luglio.

“Dobbiamo purtroppo evidenziare che cambiano le maggioranze, ma non le scelte filovenatorie di questa Regione”, dichiara Luciano Di Tizio, Delegato WWF Abruzzo. “Avevamo notato qualche timido segnale di miglioramento, in particolare in merito alle azioni per l’interferenza tra caccia e tutela dell’Orso, per cui avevamo voluto dare credito alla nuova maggioranza regionale. Dobbiamo invece prendere atto che la gestione Pepe/D’Alfonso è in sostanziale continuità con quella Febbo/Chiodi che l’ha preceduta. Questa Giunta si appresta ad approvare l’ennesimo calendario venatorio senza essersi prima dotata, come prevede la legge, del Piano Faunistico Venatorio Regionale scaduto dal 2007! Questa grave carenza pianificatoria della Regione, peraltro, è già stata più volte censurata dai giudici amministrativi nelle sentenze emesse dal TAR Abruzzo su ricorso del WWF. Mancanza di dati scientifici e scelte esclusivamente nell’interesse della lobby dei cacciatori: è questa la politica che continua a contraddistinguere la Regione Abruzzo. Un politica che solo negli ultimi anni è stata oggetto di ben 14 interventi di censura e annullamento da parte di TAR, Consiglio di Stato e perfino Corte Costituzionale”.

I principali elementi di critica evidenziati dal WWF nelle sue osservazioni:

· la caccia viene anticipata ad alcuni giorni di settembre: si tratta del solito regalo ai cacciatori per consentire loro di sparare in periodi vietati per legge. Oltretutto, anche se la preapertura è limitata ad alcune specie, finisce per avere effetti negativi per tutta la fauna, anche quella protetta;

· si consente la caccia a specie come Canapiglia, Codone, Mestolone e Frullino che vengono considerate “vulnerabili” o “in declino” e che quindi dovrebbero essere tutelate. Sul punto si è già pronunciato il TAR Abruzzo e l’Italia è sottoposta a una procedura d’infrazione da parte dell’Unione Europea;

· prolungamento del periodo di caccia alla Beccaccia fino al 19 gennaio e al Colombaccio al 9 febbraio;

· scarsa attenzione alla tutela della Lepre italica, specie protetta, difficilmente distinguibile dalla Lepre comune, che è invece cacciabile: se non viene correttamente gestita la caccia alla Lepre comune si mettono in serio pericolo i pochi esemplari di Lepre italica presenti in Abruzzo che potrebbero essere abbattuti per errore;

· confusione nella gestione dei periodi di caccia a volpe e cinghiale nelle zone dove è presente l’Orso bruno marsicano con effetti negativi su quest’ultimo, andando contro gli impegni che la stessa Regione ha deciso di adottare per la tutela di questa preziosa specie a serio rischio di estinzione.

“A giugno come WWF Italia, insieme ad altre associazioni ambientaliste, avevamo già scritto alla Regione Abruzzo, così come a tutte le altre Regioni italiane, in vista dell’approvazione dei calendari venatori”, aggiunge il vice presidente del WWF Italia Dante Caserta. “Avevamo evidenziato una serie di problemi nella gestione venatoria che peraltro rischiano di costare caro ai contribuenti italiani vista la possibile condanna dalla Commissione Europea per la procedura d’infrazione. La Regione Abruzzo non ha minimamente tenuto conto di quanto evidenziato in quella lettera. Se manterrà questa impostazione, ci obbligherà a tornare nuovamente davanti al TAR”.

WWF Italia Onlus, Abruzzo
abruzzo@wwf.it
392.1814355

mercoledì 3 agosto 2016

Calendario Venatorio 2016/2017

Calendario Venatorio 2016/2017

Pubblichiamo il Calendario Venatorio per la stagione 2016-2017, approvato dalla Giunta Regionale nella seduta del 2 agosto 2016

Maggiori informazioni:

CACCIA: GIUNTA APPROVA CALENDARIO VENATORIO

(REGFLASH) Pescara, 2 ago.
E' stato approvato oggi dalla Giunta regionale il calendario venatorio 2016/2017 che mantiene sostanzialmente l'impianto dello scorso anno.
"Per la redazione del calendario - ha dichiarato l'assessore Dino Pepe si è tenuto conto dei contributi della consulta e dei pareri ISPRA e Vinca espressi e valutati prima dell'approvazione della delibera".
La "preapertura" della caccia riguarda solo le seguenti specie: tortora, cornacchia, gazza e ghiandaia, nei giorni 1, 3, 4 settembre, fino alle ore 18; dal 18 settembre si apre la caccia alle seguenti specie: fagiano, quaglia, lepre e volpe. L'addestramento dei cani è prevista invece dal 15 agosto. La caccia al colombaccio parte dal 1 ottobre e chiude il 5 febbraio, con la possibilità di proroga al 9 febbraio; la caccia alla beccaccia è possibile effettuarla dal 1 ottobre al 19 gennaio.
Tra le principali novità, invece, ci sono l'apertura della caccia al cinghiale dal primo di ottobre con la tecnica della braccata. "E' sempre consentita, continua Pepe, la caccia di selezione che si esercita tutto l'anno, anche sulla neve. Con la caccia di selezione e con l'attività di controllo si è data una risposta concreta alle esigenze del mondo agricolo per contenere i danni prodotti dai cinghiali. Con le attività di controllo nei mesi di giugno e luglio scorsi sono stati abbattuti circa mille capi". "Con questo calendario - osserva Pepe - la Regione Abruzzo è impegnata concretamente a rispettare le esigenze di conservazione dell'orso marsicano, garantendo sia l'esercizio venatorio che la tutela dell'ambiente".

(REGFLASH) 

Il disastro dei dati sulla caccia in Italia.La Regione Abruzzo non fornisce informazioni.

Rispondono solo 8 Regioni su 20, con dati incompleti e disomogenei


Il disastro dei dati sulla caccia in Italia secondo il rapporto Ispra

La regione dove si abbattono più uccelli è la Puglia, seguita da Emilia Romagna e Lazio

Alberto Sorace e Barbara Amadesi, del Servizio di consulenza faunistica dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) hanno presentato il rapporto “Analisi dei dati dei tesserini venatori per la stagione venatoria 2014-2015” che serve ad «assicurare il rispetto dei principi di rigorosa verifica e di costante monitoraggio del prelievo venatorio degli uccelli, imposti dalla Direttiva Uccelli 2009/147/CE».

Si tratta della prima analisi di questo tipo, richiesta all’Ispra da ministero dell’ambiente e che verrà inoltrata alla Commissione europea. Ispra evidenzia che dai dati raccolti emergono diverse criticità: «Solo otto regioni hanno fornito i dati richiesti, rappresentativi quindi di meno della metà del territorio nazionale; inoltre, solo quattro regioni hanno fornito dati sullo sforzo di caccia, informazione questa essenziale per poter valutare la sostenibilità del prelievo».

In sintesi «Le otto regioni che hanno fornito i dati di capi abbattuti nella stagione 2014-2015 hanno una superficie complessiva pari a 135014 km2 che corrisponde al 44,80% della superficie nazionale. In queste otto regioni risultano abbattuti 1.862.534 individui appartenenti a 34 specie ornitiche. Altri 95.256 uccelli sono stati abbattuti da cacciatori residenti in Puglia ed Emilia Romagna al di fuori della propria regione, ma i dati forniti non permettono di estrapolare in quale territorio regionale tali abbattimenti abbiano avuto luogo. Considerando questi abbattimenti extraregionali il totale di capi abbattuti nella stagione venatoria 2014-2015 e comunicati con i tesserini venatori è pari a 1.957.790 uccelli», con un totale di 34 specie cacciate, mentre tra le otto regioni quella dove sono stati abbattuti più uccelli è la Puglia (744.724), seguita da lontano da Emilia Romagna (376.632) e dal Lazio (258.228). Poi ci sono Sicilia (184.683); Friuli Venezia Giulia (171.294); Piemonte (75.576); Campania (51.306) – con dati che per alcune regioni ad alto tasso di bracconaggio che sembrano sottostimati – chiude la Valle d’Aosta con soli 91 esemplari uccisi.

Il rapporto Ispra dice che le pecie più cacciate nelle 8 regioni risultano: il Tordo bottaccio (309.103 capi abbattuti), Allodola (159.183), Merlo (152.520), Fagiano (151.062), Colombaccio (146.945) e aggiunge: « benché esistano delle differenze a livello di singole regioni (p.es. in Piemonte il Fagiano è la specie più cacciata mentre in Sicilia la prima specie è il Colombaccio). Si noti che il numero dei capi abbattuti di Tordo bottaccio nelle regioni considerate è sicuramente ancora più elevato del valore riportato sopra, in quanto in Puglia sono stati abbattuti 655.937 individui classificati genericamente come tordi tra i quali gli esemplari di Tordo bottaccio costituiscono molto probabilmente la stragrande maggioranza».

Per quanto riguarda il metodo di prelievo, «Le specie sono state cacciate esclusivamente in forma vagante in Valle d’Aosta, Lazio e Sicilia. In Puglia il metodo è variato tra le specie: Tortora, Allodola, Merlo, Anatidi, Rallidi, Trampolieri e Tordo (appostamento); Beccaccia e Quaglia (vagante). In Emilia Romagna, ad eccezione di Beccaccia e Beccaccino, che sono stati cacciati esclusivamente in forma 8 vagante, per le altre specie sono stati adottati entrambi i metodi di prelievo. Per il Friuli Venezia Giulia, viene riportato il metodo (vagante o da appostamento) utilizzato nelle varie decadi della stagione venatoria limitando tuttavia il dato esclusivamente alla fauna migratoria presa complessivamente, senza riportare informazioni sule singole specie. Le Regioni Campania e Piemonte non hanno fornito informazioni circa il metodo di prelievo impiegato per le diverse specie. Sono disponibili dati sullo sforzo di caccia (giornate/cacciatore) solo per Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Puglia e Sicilia, anche se non è stata esplicitata la modalità utilizzata per calcolarlo e il dato non risulta uniforme per tutte le Regioni interessate».

Quello che risalta è soprattutto la mancanza e la frammentarietà dei dati di un’attività che dovrebbe essere strettamente controllata, perché, come fa notare l’Ispra, «La raccolta ed analisi di dati di dettaglio circa il prelievo venatorio sulle specie ornitiche tutelate dalla Direttiva Uccelli, oltre a rispondere a specifici obblighi comunitari, rappresenta un elemento essenziale per una corretta gestione delle specie oggetto di caccia». Invece l’ indagine evidenzia «Il sussistere di significative problematiche nell’acquisizione, organizzazione e conseguente elaborazione delle informazioni, in parte legate alle modalità di trasmissione e alla disomogeneità del formato dei dati trasmessi. Sia a causa della limitata copertura dei dati forniti, sia della disomogeneità nel formato dei dati trasmessi, si sottolinea che i dati acquisiti ad oggi per la stagione venatoria 2014-2015, relativi a poco meno della metà del territorio nazionale, non permettono di effettuare analisi sufficientemente robuste del prelievo venatorio realizzato nel nostro Paese, che assicurino una valutazione dell’influenza dei metodi e dei tassi di prelievo sulle popolazioni selvatiche adeguata a permettere un una più corretta gestione delle specie ornitiche, soprattutto per quelle caratterizzate da un cattivo stato di conservazione». Inoltre, in molti casi non è stato trasmesso il dato relativo allo sforzo di caccia e, per le Regioni per le quali tale informazione è disponibile, si riscontra una mancanza di uniformità». Eppure si tratta di un’informazione fondamentale per poter fare analisi attendibili sull’andamento temporale e la distribuzione degli abbattimenti in Italia e poter quindi utilizzare queste informazioni per verificare l’andamento delle popolazioni nell’arco della stagione venatoria e negli anni. Inoltre alcune regioni non hanno fornito i dati di abbattimento scorporati per le singole specie, ma accorpandoli in gruppi di appartenenza «Ciò non consente di valutare l’entità del prelievo sulle singole specie – sottolinea l’Ispra – e quindi di definire le più opportune misure gestionali, commisurate alle effettive esigenze specie-specifiche».

A questo si aggiunge che se cacciatore caccia fuori regione, «le Amministrazioni non prevedono all’interno dei tesserini venatori la possibilità di indicare il territorio extra-regionale in cui il prelievo viene effettuato. Al fine di monitorare l’effettivo andamento dei prelievi venatori in ambito nazionale sarebbe utile poter disporre di informazioni geografiche dettagliate (Provincia ed eventualmente istituto di gestione) anche per il prelievo effettuato fuori regione».

Insomma, un disastro fatto di dati del tutto mancanti per 12 Regioni e non omogenei e non utilizzabili direttamente per le 8 Regioni che hanno risposto. Eppure « Negli anni passati Ispra ha messo a punto e fornito alle Regioni un database in formato Access il cui impiego consentirebbe di uniformare l’acquisizione, l’archiviazione e l’elaborazione delle informazioni relative al prelievo venatorio delle specie ornitiche su scala nazionale, assicurando così una più esaustiva rendicontazione, come previsto dalla Direttiva 2009/147/CE».

Il rapporto conclude che «La realizzazione di una banca dati centralizzata, e accessibile online da parte di tutti i soggetti coinvolti, finalizzata alla condivisione dei dati disponibili e necessari all’implementazione delle politiche di conservazione previste dalla Direttiva 2009/147/CE, possa rappresentare lo strumento più idoneo al fine di risolvere le criticità riscontrate».

Il disastro dei dati sulla caccia in Italia. La Regione Abruzzo non fornisce informazioni.

Rispondono solo 8 Regioni su 20, con dati incompleti e disomogenei

Il disastro dei dati sulla caccia in Italia secondo il rapporto Ispra

La regione dove si abbattono più uccelli è la Puglia, seguita da Emilia Romagna e Lazio

Alberto Sorace e Barbara Amadesi, del Servizio di consulenza faunistica dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) hanno presentato il rapporto “Analisi dei dati dei tesserini venatori per la stagione venatoria 2014-2015” che serve ad «assicurare il rispetto dei principi di rigorosa verifica e di costante monitoraggio del prelievo venatorio degli uccelli, imposti dalla Direttiva Uccelli 2009/147/CE».

Si tratta della prima analisi di questo tipo, richiesta all’Ispra da ministero dell’ambiente e che verrà inoltrata alla Commissione europea. Ispra evidenzia che dai dati raccolti emergono diverse criticità: «Solo otto regioni hanno fornito i dati richiesti, rappresentativi quindi di meno della metà del territorio nazionale; inoltre, solo quattro regioni hanno fornito dati sullo sforzo di caccia, informazione questa essenziale per poter valutare la sostenibilità del prelievo».

In sintesi «Le otto regioni che hanno fornito i dati di capi abbattuti nella stagione 2014-2015 hanno una superficie complessiva pari a 135014 km2 che corrisponde al 44,80% della superficie nazionale. In queste otto regioni risultano abbattuti 1.862.534 individui appartenenti a 34 specie ornitiche. Altri 95.256 uccelli sono stati abbattuti da cacciatori residenti in Puglia ed Emilia Romagna al di fuori della propria regione, ma i dati forniti non permettono di estrapolare in quale territorio regionale tali abbattimenti abbiano avuto luogo. Considerando questi abbattimenti extraregionali il totale di capi abbattuti nella stagione venatoria 2014-2015 e comunicati con i tesserini venatori è pari a 1.957.790 uccelli», con un totale di 34 specie cacciate, mentre tra le otto regioni quella dove sono stati abbattuti più uccelli è la Puglia (744.724), seguita da lontano da Emilia Romagna (376.632) e dal Lazio (258.228). Poi ci sono Sicilia (184.683); Friuli Venezia Giulia (171.294); Piemonte (75.576); Campania (51.306) – con dati che per alcune regioni ad alto tasso di bracconaggio che sembrano sottostimati – chiude la Valle d’Aosta con soli 91 esemplari uccisi.

Il rapporto Ispra dice che le pecie più cacciate nelle 8 regioni risultano: il Tordo bottaccio (309.103 capi abbattuti), Allodola (159.183), Merlo (152.520), Fagiano (151.062), Colombaccio (146.945) e aggiunge: « benché esistano delle differenze a livello di singole regioni (p.es. in Piemonte il Fagiano è la specie più cacciata mentre in Sicilia la prima specie è il Colombaccio). Si noti che il numero dei capi abbattuti di Tordo bottaccio nelle regioni considerate è sicuramente ancora più elevato del valore riportato sopra, in quanto in Puglia sono stati abbattuti 655.937 individui classificati genericamente come tordi tra i quali gli esemplari di Tordo bottaccio costituiscono molto probabilmente la stragrande maggioranza».

Per quanto riguarda il metodo di prelievo, «Le specie sono state cacciate esclusivamente in forma vagante in Valle d’Aosta, Lazio e Sicilia. In Puglia il metodo è variato tra le specie: Tortora, Allodola, Merlo, Anatidi, Rallidi, Trampolieri e Tordo (appostamento); Beccaccia e Quaglia (vagante). In Emilia Romagna, ad eccezione di Beccaccia e Beccaccino, che sono stati cacciati esclusivamente in forma 8 vagante, per le altre specie sono stati adottati entrambi i metodi di prelievo. Per il Friuli Venezia Giulia, viene riportato il metodo (vagante o da appostamento) utilizzato nelle varie decadi della stagione venatoria limitando tuttavia il dato esclusivamente alla fauna migratoria presa complessivamente, senza riportare informazioni sule singole specie. Le Regioni Campania e Piemonte non hanno fornito informazioni circa il metodo di prelievo impiegato per le diverse specie. Sono disponibili dati sullo sforzo di caccia (giornate/cacciatore) solo per Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Puglia e Sicilia, anche se non è stata esplicitata la modalità utilizzata per calcolarlo e il dato non risulta uniforme per tutte le Regioni interessate».

Quello che risalta è soprattutto la mancanza e la frammentarietà dei dati di un’attività che dovrebbe essere strettamente controllata, perché, come fa notare l’Ispra, «La raccolta ed analisi di dati di dettaglio circa il prelievo venatorio sulle specie ornitiche tutelate dalla Direttiva Uccelli, oltre a rispondere a specifici obblighi comunitari, rappresenta un elemento essenziale per una corretta gestione delle specie oggetto di caccia». Invece l’ indagine evidenzia «Il sussistere di significative problematiche nell’acquisizione, organizzazione e conseguente elaborazione delle informazioni, in parte legate alle modalità di trasmissione e alla disomogeneità del formato dei dati trasmessi. Sia a causa della limitata copertura dei dati forniti, sia della disomogeneità nel formato dei dati trasmessi, si sottolinea che i dati acquisiti ad oggi per la stagione venatoria 2014-2015, relativi a poco meno della metà del territorio nazionale, non permettono di effettuare analisi sufficientemente robuste del prelievo venatorio realizzato nel nostro Paese, che assicurino una valutazione dell’influenza dei metodi e dei tassi di prelievo sulle popolazioni selvatiche adeguata a permettere un una più corretta gestione delle specie ornitiche, soprattutto per quelle caratterizzate da un cattivo stato di conservazione». Inoltre, in molti casi non è stato trasmesso il dato relativo allo sforzo di caccia e, per le Regioni per le quali tale informazione è disponibile, si riscontra una mancanza di uniformità». Eppure si tratta di un’informazione fondamentale per poter fare analisi attendibili sull’andamento temporale e la distribuzione degli abbattimenti in Italia e poter quindi utilizzare queste informazioni per verificare l’andamento delle popolazioni nell’arco della stagione venatoria e negli anni. Inoltre alcune regioni non hanno fornito i dati di abbattimento scorporati per le singole specie, ma accorpandoli in gruppi di appartenenza «Ciò non consente di valutare l’entità del prelievo sulle singole specie – sottolinea l’Ispra – e quindi di definire le più opportune misure gestionali, commisurate alle effettive esigenze specie-specifiche».

A questo si aggiunge che se cacciatore caccia fuori regione, «le Amministrazioni non prevedono all’interno dei tesserini venatori la possibilità di indicare il territorio extra-regionale in cui il prelievo viene effettuato. Al fine di monitorare l’effettivo andamento dei prelievi venatori in ambito nazionale sarebbe utile poter disporre di informazioni geografiche dettagliate (Provincia ed eventualmente istituto di gestione) anche per il prelievo effettuato fuori regione».

Insomma, un disastro fatto di dati del tutto mancanti per 12 Regioni e non omogenei e non utilizzabili direttamente per le 8 Regioni che hanno risposto. Eppure « Negli anni passati Ispra ha messo a punto e fornito alle Regioni un database in formato Access il cui impiego consentirebbe di uniformare l’acquisizione, l’archiviazione e l’elaborazione delle informazioni relative al prelievo venatorio delle specie ornitiche su scala nazionale, assicurando così una più esaustiva rendicontazione, come previsto dalla Direttiva 2009/147/CE».

Il rapporto conclude che «La realizzazione di una banca dati centralizzata, e accessibile online da parte di tutti i soggetti coinvolti, finalizzata alla condivisione dei dati disponibili e necessari all’implementazione delle politiche di conservazione previste dalla Direttiva 2009/147/CE, possa rappresentare lo strumento più idoneo al fine di risolvere le criticità riscontrate».