domenica 16 dicembre 2018

La posizione del Consiglio Direttivo del Pnalm sulle polemiche relative al Patom.

La posizione del Consiglio Direttivo del Pnalm sulle polemiche relative al Patom. 
"L’iniziativa contro il PATOM, svoltasi nel Comune di Picinisco, è puramente strumentale e finalizzata evidentemente ad altri obiettivi, come quello di evitare qualsiasi controllo sull’attività dell’Azienda faunistica venatoria."

In riferimento alle manifestazioni di contrarietà rivolte, in maniera del tutto strumentale, al PATOM (Piano d'Azione nazionale per la tutela dell'Orso bruno Marsicano) che hanno avuto luogo nel versante laziale del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e alle dichiarazioni del vice presidente, oggetto di polemiche e richiesta di dimissioni, il consiglio direttivo del Parco, all’unanimità, ha approvato il documento seguente. 
“Il PATOM è il principale protocollo per la definizione delle strategie di conservazione dell’Orso marsicano e rappresenta il documento programmatico di riferimento per il consiglio direttivo del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, che svolge la propria azione di organo di gestione dell’area protetta, finalizzata alla conservazione della specie. La sua redazione si è basata sulle migliori e più aggiornate conoscenze scientifiche e su un processo di ampia partecipazione per la definizione degli obiettivi, dei metodi e delle azioni necessarie a garantire un migliore stato di conservazione dell’Orso marsicano in tutto l’Appennino centrale. 
Il PATOM è stato sottoscritto, già a partire dal 2006, da numerosi Enti (Ministero dell’Ambiente, Regioni, Province, Aree protette, ISPRA, Carabinieri Forestali), Università e organizzazioni non governative, che hanno sentito la necessità, condivisa, di intervenire in modo coordinato sul territorio, per il raggiungimento del comune obiettivo di tutela della specie. Ogni indirizzo e decisione di questo Consiglio, rispetto alla gestione dell’Orso marsicano, si inserisce nelle linee di pianificazione individuate dal PATOM e dalle normative per la gestione della fauna. La tutela della popolazione residua di Orso marsicano, sottospecie unica al mondo, dallo straordinario valore conservazionistico, ecologico e simbolico, rappresenta una priorità nell’indirizzo di gestione ed è responsabilmente condivisa da tutti i membri del Consiglio.
L’iniziativa contro il PATOM, svoltasi nel Comune di Picinisco, è puramente strumentale e finalizzata evidentemente ad altri obiettivi, come quello di evitare qualsiasi controllo sull’attività dell’Azienda faunistica venatoria. Quali limitazioni a zootecnia, selvicoltura, raccolta funghi, turismo montano, attività edilizie o artigianali, i territori hanno subito da quando il PATOM è in vigore? Quali sindaci hanno dovuto vietare in nome del PATOM queste attività? Creare cortine fumogene per non affrontare i problemi non aiuta le comunità locali a difendere i propri interessi, come dimostrano le decisioni dei giudici amministrativi di questi ultimi 2 mesi sulla caccia in Zona di Protezione Esterna. Continuare ad attardarsi a rimettere in discussione la legittimità degli atti e l’autorità del Parco e del suo servizio di sorveglianza risponde ad interessi che non sono quelli dei cittadini che vivono nel Parco.
Una delle attività che nel territorio deve trovare una nuova e più efficace programmazione è sicuramente quella venatoria, ma per essa servono strumenti normativi, come l’istituzione dell’area contigua, che attende di vedere la luce dall’emanazione della Legge Quadro sulle Aree Protette. Nell’area contigua, l’attività venatoria viene esercitata dai cacciatori residenti e, dunque, per essi non si determina alcuna restrizione.
L’Ente Parco non si è mai sottratto all’ascolto e al dialogo con i territori e si mette a disposizione per incontrare e spiegare pubblicamente le decisioni gestionali intraprese, nella consapevolezza che un confronto costruttivo interessa la maggioranza dei cittadini. Pertanto, la chiarezza e correttezza sul PATOM, evitando messaggi non corretti, è utile a tutti. Ancora una volta, i documenti, le norme, le indicazioni, hanno senso se trovano concretezza in chi li vede come un’opportunità di crescita e di confronto ed è disposto a raccogliere la sfida di rendere il territorio appenninico un modello di gestione delle aree protette. 
Comunicato stampa n. 33/2018

sabato 15 dicembre 2018

Divieto di caccia nei propri fondi agricoli: dalla Regione Abruzzo soltanto silenzio. Il WWF: si profilano omissioni


Comunicato stampa del 15 dicembre 2018

Divieto di caccia nei propri fondi agricoli: dalla Regione Abruzzo soltanto silenzio

Il WWF: si profilano omissioni in merito agli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni


La Regione Abruzzo continua a tacere in relazione alla problematica sollevata dal WWF Abruzzo circa l’esercizio del diritto di vietare la caccia nel proprio fondo in occasione dell’approvazione del nuovo Piano Faunistico Venatorio Regionale, già adottato dalla Giunta regionale e in attesa di essere approvato dal Consiglio regionale.

Al momento, infatti, non si trova, sul sito web della Regione, alcuna forma di pubblicizzazione in merito all’esercizio di questa possibilità né alcuna informazione sulle modalità di attuazione.

Dichiara Luciano di Tizio Delegato Regionale del WWF Abruzzo: «Si tratta di un diritto sancito dalla legge nazionale sulla caccia (n. 157/92) che si può esercitare soltanto ogni volta che viene rinnovato il Piano Faunistico Venatorio Regionale. In Abruzzo purtroppo, per colpa della negligenza dei governi regionali succedutisi nel tempo, questo accade nei fatti soltanto ogni vent’anni visto che sono trascorsi appunto ben 20 anni dall’ultimo Piano approvato!»

L’Emilia-Romagna, che in queste settimane ha adottato il nuovo Piano Faunistico Venatorio Regionale, ha reso pubbliche sia le modalità di esercizio del diritto di esclusione dei fondi sia la modulistica specifica, al contrario della Regione Abruzzo.

Conclude Luciano Di Tizio: «Il silenzio del nostro governo regionale potrebbe indurre qualcuno a pensare che vi sia una volontà precisa a non pubblicizzare questa possibilità data dalla legge e a non fornire le giuste informazioni alla cittadinanza in modo da impedire l’esercizio del sacrosanto diritto ad avere i propri terreni sottratti all’attività venatoria. Sono tantissime le persone che si rivolgono alla nostra Associazione perché non possono uscire di casa a causa della pericolosa presenza di cacciatori nell’immediata vicinanza delle proprie case. E gli “incidenti” di caccia, anche mortali, sono sempre più frequenti!».

In questi giorni i legali del WWF stanno lavorando sulla possibilità di rivolgersi al Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza della Regione Abruzzo previsto dal Codice della Trasparenza (D.Lgs. 33/2013) e che ha il compito di vigilare sugli gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni allo scopo di vedere presto approvate e pubblicizzate le modalità di accoglimento delle richieste dei proprietari di fondi agricoli che intendano vietare la caccia nei propri fondi.

Il WWF, nelle more che la Regione dia un segnale, suggerisce intanto a tutti gli interessati di scrivere una comunicazione via email o posta elettronica certificata (PEC) alla Regione (vedi scheda in calce al presente comunicato) anticipando la volontà di vietare la caccia nei propri fondi.


Abruzzo: fondi da sottrarre alla caccia. Come fare?

Possiedi un fondo o un terreno in Abruzzo?

Vuoi vietare la caccia o l’accesso ai cacciatori?

È possibile farlo senza spendere soldi per realizzare recinzioni o altri manufatti costosi. Il proprietario o il conduttore che intenda vietare la caccia nel proprio fondo può richiederlo alla Regione, entro trenta giorni dalla pubblicazione del nuovo Piano faunistico-venatorio, che viene, di norma, aggiornato ogni cinque anni (art. 15, commi 3° e 6°, della legge n. 157/1992).

Il nuovo Piano faunistico-venatorio sta per essere approvato dall’assemblea legislativa della Regione Abruzzo ma l’Ente non ancora ha disposto la modulistica, pubblicizzato le disposizioni generali e le condizioni di ammissibilità riferite alle richieste di sottrazione dei fondi agricoli all’attività venatoria.

Scrivi alla Regione Abruzzo, Dipartimento dello Sviluppo Rurale, Caccia e Pesca chiedendo le modalità e la modulistica per sottrarre il tuo fondo alla caccia, anticipando chiaramente nel testo la volontà di vietare la caccia nei tuoi terreni.

Posta Elettronica Certificata (PEC): dpd@pec.regione.abruzzo.it

oppure Posta Elettronica ordinaria: dpd@regione.abruzzo.it

venerdì 14 dicembre 2018

Montenerodomo (Ch). Cacciatore ferito da un cinghiale ritrovato nel bosco dai carabinieri forestali

Cacciatore ferito da un cinghiale ritrovato nel bosco dai carabinieri forestali
L’ungulato ha caricato l’uomo durante una braccata a Montenerodomo 


Un cacciatore di Quadri è rimasto ferito ieri pomeriggio nel corso di una braccata in località Casale del Comune di Montenerodomo. L'uomo, nel bosco con i suoi compagni di squadra, è stato ferito ad una gamba da un cinghiale ed è rimasto tra la vegetazione.

Sono stati i suoi colleghi cacciatori ad allertare i carabinieri forestali della stazione di Torricella Peligna che hanno avviato le ricerche e lo hanno rintracciato attorno alle 17.

Sul posto sono intervenuti i sanitari del 118 di Villa Santa Maria che hanno prestato i primi soccorsi e poi lo hanno trasportato in ambulanza all'ospedale di Lanciano dove è stato sottoposto alle cure del caso e successivamente dimesso.

"Secondo quanto riferito dal cacciatore - spiega una nota dei carabinieri forestali - il grosso ungulato, dopo averlo caricato frontalmente, lo ha colpito ad una gamba con le zanne ed il corpo lanciato ad alta velocità. L'uomo è riuscito a sparare, ma i colpi non hanno impedito la carica dell'animale".

Sono ancora in corso gli accertamenti da parte dei carabinieri forestali per ricostruire l'esatta dinamica dell'incidente di caccia. 

sabato 1 dicembre 2018

Il WWF: «La Regione Abruzzo pubblicizzi la possibilità di vietare i campi alle doppiette»


Comunicato stampa del 1 dicembre 2018 
  
In alcune condizioni è possibile chiedere che i propri fondi agricoli siano esclusi dal libero accesso dei cacciatori, ma la legge prevede che questo si possa fare solo nei trenta giorni successivi all’approvazione del Piano Faunistico Venatorio, ora imminente in Abruzzo con ventennale ritardo

Il WWF: «La Regione Abruzzo pubblicizzi la possibilità di vietare i campi alle doppiette»

Inviata ieri una lettera con questa richiesta all’assessore Dino Pepe e al dirigente del settore


Il WWF ha scritto ieri una nota all’Assessore regionale allo Sviluppo Rurale, Caccia e Pesca Dino Pepe e al Dirigente del Dipartimento Politiche dello Sviluppo Rurale per chiedere che, in occasione della fase conclusiva dell’iter di approvazione (con enorme ritardo) del Piano Faunistico Venatorio Regionale sia adeguatamente pubblicizzata la norma che consente ai proprietari o ai conduttori di chiedere l’esclusione dei propri fondi dall’esercizio dell’attività venatoria, ai sensi dell’art. 15 della legge 157/92 e s.m.i..

«La normativa nazionale sulla protezione della fauna selvatica omeoterma e sul prelievo venatorio – scrive il WWF nella sua nota - prevede la possibilità per il proprietario o il conduttore di un fondo di chiedere l’esclusione dei propri terreni dalla cosiddetta gestione programmata della caccia (art. 15, commi 3° – 6°, della legge n. 157/1992 e s.m.i.): per ottenere tale esclusione il proprietario o il conduttore deve inoltrare, entro trenta giorni dalla pubblicazione del piano faunistico-venatorio, al Presidente della Regione richiesta motivata da esaminarsi entro 60 giorni (art. 2 della legge n. 241/1990 e s.m.i.)».

«La richiesta – precisa l’associazione - dev’essere accolta se non ostacola l’attuazione della pianificazione faunistico-venatoria (art. 10 della legge n. 157/1992 e s.m.i.). È accolta, inoltre, in casi specificatamente individuati con norme regionali, quando l’attività venatoria sia in contrasto con l’esigenza di salvaguardia di colture agricole specializzate nonché di produzioni agricole condotte con sistemi sperimentali o a fine di ricerca scientifica, ovvero quando sia motivo di danno o di disturbo ad attività di rilevante interesse economico, sociale o ambientale».

Ebbene, benché l’iter approvativo del nuovo Piano Faunistico Venatorio sia nelle fasi finali e benché dunque sia ragionevole ipotizzare la sua pubblicazione a breve, la Regione Abruzzo non ha al momento provveduto, come sarebbe suo dovere nell’interesse dei cittadini tutti, a fare in modo che i proprietari/conduttori siano adeguatamente informati della possibilità di esercitare tale diritto. Non risulta infatti sul sito web istituzionale alcun riferimento alle modalità, alle disposizioni generali e alle condizioni di ammissibilità riferite alle richieste di sottrazione dei fondi agricoli all’attività venatoria, né è chiarito a quale servizio debba essere presentata la richiesta e non è presente idonea modulistica.

«A questo punto la Regione deve dimostrare – commenta il coordinatore regionale delle guardie ambientali WWF Claudio Allegrino – di avere a cuore l’interesse di tutti gli abruzzesi e non soltanto quello della piccola minoranza dei cacciatori mettendo in condizione chiunque voglia e ne abbia diritto a sottrarsi all’incubo degli spari che in molti casi assediano letteralmente le abitazioni rurali e i piccoli borghi».

«Una occasione davvero “storica” da non sciupare», sottolinea il delegato Abruzzo del WWF Italia Luciano Di Tizio, che spiega: «I piani faunistici andrebbero rinnovati ogni cinque anni, quindi ogni cinque anni i proprietari e i conduttori dei fondi agricoli dovrebbero avere a disposizione una finestra per sottrarre i propri terreni, se hanno i requisiti di legge, all’invadenza dei cacciatori. Il piano faunistico attualmente in vigore e che sta per essere sostituito da quello nuovo risale invece ormai a un ventennio or sono: con la sua inadempienza la Regione ha impedito a una intera generazione di esercitare un proprio diritto. Mi auguro che oggi voglia porre per quanto possibile rimedio pubblicizzando al massimo l’opportunità concessa dalla legge».

WWF Italia Onlus, Abruzzo
abruzzo@wwf.it

Consulta: no all’uso dei cacciatori per il controllo della fauna selvatica. A sollevare la questione era stato il Tar Abruzzo

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 44 della legge regionale n.10 del 2004 sulla caccia, nella parte in cui, al quinto periodo del comma 2, statuisce che le guardie venatorie, nel dare attuazione ai piani di abbattimento di specie di fauna selvatica, «possono avvalersi», tra l’altro, anche «dei cacciatori iscritti o ammessi agli ATC interessati, nominativamente segnalati dai comitati di gestione», e annovera questi ultimi, alla lettera c) del comma 6, fra coloro che attuano tali piani.


A sollevare la questione di legittimità costituzionale era stato il Tar per l’Abruzzo nell’ambito del ricorso presentato da Enpa, Lega antivivisezione (LAV) e Lega nazionale per la difesa del cane (LNDC), per ottenere l’annullamento della delibera del presidente della Provincia di Teramo del 10 marzo 2016, n. 92, con cui l’ente ha adottato il piano di controllo triennale 2016/2018 delle popolazioni delle volpi, adottata in attuazione dell’art. 44 della legge della Regione Abruzzo n. 10 del 2004.

Fonte: lastampa.it del 30 novembre 2018

martedì 23 ottobre 2018

Balsorano (Aq). Cacciatore di 22 anni trovato morto con un colpo di fucile al petto

Giovane cacciatore è stato rinvenuto privo di vita nei pressi del Santuario Sant’Angelo in territorio di Balsorano (L'Aquila). N. C., 22enne di Balsorano, era nei boschi delle montagne del centro rovetano. Sul corpo un colpo di fucile da caccia e per questo la Procura della Repubblica, Pm Maurizio Cerrato, ha disposto gli accertamenti per stabile le cause della morte. La salma è stata trasferita all’obitorio di Avezzano e questa mattina un medico legale della Asl dovrebbe eseguire la ricognizione cadaverica e la prova stub. C’è il sospetto da parte degli inquirenti che il giovane si sia tolta la vita sparandosi un colpo di fucile.

Sul posto i carabinieri forestali non hanno rinvenuto nessuna lettera appartenente alla vittima. Da una prima ricostruzione sembra che il giovane sia uscito domenica con il suo fucile per la caccia di cui era appassionato. Non vedendolo rientrare nella notte, ieri mattina, i genitori hanno presentato una denuncia. Assieme agli altri cacciatori della zona si sono messi alla ricerca del giovane e, dopo lunghe ore, lo hanno trovato ormai esanime. Il corpo è stato trovato in via della Cisterna nella zona nord del paese. Non si esclude neppure che il decesso sia avvenuto a seguito di un episodio accidentale.

Fonte: ilmessaggero.it del 23 ottobre 2018

Cervo ucciso a Capistrello (Aq): sequestrati licenze, armi e munizioni a sette cacciatori

Capistrello – E’ stato deferito all’Autorità Giudiziaria per caccia illecita il cacciatore responsabile dell’uccisione di un esemplare di cervo a Capistrello. Per le altre sette persone è scattato il divieto di detenzione delle armi e munizioni poiché i soggetti sapevano della caccia illegale e non hanno denunciato il reato all’Autorità preposta al controllo. I Carabinieri Forestale di Canistro hanno acquisito 39 (trentanove) fucili, 4 (quattro) pistole, 264 (duecentosessantaquattro) munizioni a palla unica e hanno ritirato 7 (sette) libretti personali per licenza di porto di fucile a Q.O. di anni 43, F.O. di anni 51, S.D.P. di anni 20, E.C. di anni 22, M.S. di anni 30, D.S. di anni 53 e N.S. di anni 61, perché il loro comportamento è stato ritenuto non appropriato a garantire il non abuso delle armi, ai sensi dell’art.39 del Testo Unico Leggi Pubblica Sicurezza.

Nei giorni scorsi, i Carabinieri Forestale di Canistro (AQ), congiuntamente a Carabinieri Forestale di Balsorano, Calano e Tagliacozzo, hanno effettuato controlli sull’attività venatoria e hanno identificato diverse persone che si trovavano nella zona antistante un manufatto adibito a “casa di caccia”, nel Comune di Capistrello (AQ), nei pressi del quale erano visibili numerose tracce di sangue e al cui interno vi era un animale scuoiato di grossa taglia, che si è scoperto essere un cervo di circa quattro anni ucciso durante una battuta di caccia.

Fonte: marsicanews.com del 22 ottobre 2018

giovedì 18 ottobre 2018

Civitaluparella. Ferito da un cinghiale durante battuta di caccia

Ferito da un cinghiale durante una battuta di caccia. E' successo oggi, intorno alle 13, a Civitaluparella (Ch), in località San Leo. Un ex cuoco era a caccia con altre doppiette. Che, ad un certo momento, hanno preso di mira uno degli ungulati che si aggiravano nella zona boscosa. L'animale, sentendosi braccato, ha cercato di dileguarsi. E, all'improvviso, si è trovato davanti l'uomo: questi non è riuscito a far fuoco e a centrarlo in tempo e il cinghiale gli è piombato addosso, ferendolo gravemente, soprattutto alle gambe e ai glutei. Lui ha cercato di liberarsi facendo fuoco. Alla fine l'animale è stato ucciso, mentre il cuoco, che perdeva sangue, è stato soccorso. Sul posto, luogo impervio e inaccessibile a mezzi, è arrivata l'eliambulanza che lo ha trasportato all'ospedale di Chieti, dove è stato operato. Indagano i carabinieri di Quadri.

Fonte: abruzzolive.tv del 17 ottobre 2018

Il WWF: il TAR ribadisce che la tutela della fauna protetta viene prima degli interessi dei cacciatori

Comunicato stampa del 16 ottobre 2018

I giudici respingono quasi tutte le richieste di Federcaccia sul Calendario Venatorio ma la Regione Abruzzo reinserisce comunque cinque specie tra quelle cacciabili!

Il WWF: il TAR ribadisce che la tutela della fauna protetta viene prima degli interessi dei cacciatori


Con ordinanza n. 222/2018 pubblicata l’11 ottobre scorso, i giudici del TAR Abruzzo sono intervenuti nuovamente sul calendario venatorio di quest’anno, stavolta a seguito di un ricorso di Federcaccia.

Il WWF si è costituito in opposizione a tale ricorso insieme alla Regione Abruzzo e all’Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale (ISPRA).

I giudici hanno respinto le richieste cautelari di Federcaccia finalizzate ad aumentare i periodi di caccia per le specie quaglia, alzavola, fischione, folaga, gallinella d’acqua, germano reale, marzaiola, beccaccino e pavoncella, beccaccia, cesena, tordo bottaccio e tordo sassello. Federcaccia ha rinunciato invece alla domanda relativa al reinserimento nel calendario venatorio delle seguenti specie: canapiglia, codone, mestolone, moriglione e frullino perché nel frattempo la Regione Abruzzo aveva provveduto in tal senso autonomamente, senza aspettare il pronunciamento del TAR

Dichiara Luciano Di Tizio, Delegato regionale del WWF Abruzzo: "Ancora una volta i giudici hanno bocciato le richieste di una parte del mondo venatorio. Il TAR ha ribadito che l'interesse alla tutela della vita della fauna protetta è superiore rispetto all'interesse dei cacciatori di esercitare il diritto di caccia per il solo fatto di aver corrisposto i relativi tributi. La Federcaccia in pratica ha ottenuto parziale soddisfazione per una sola delle richieste che aveva presentato ai giudici, mentre sono state respinte tutte le altre richieste che estendevano modi e tempi di caccia a danno della fauna e dell’ambiente".

Conclude Dante Caserta, vice-Presidente del WWF Italia: "Rimane il rammarico sul fatto che la Regione Abruzzo abbia reinserito tra le specie cacciabili la canapiglia, codone, mestolone, moriglione e frullino. Invece di difendersi convintamente davanti al TAR, la Regione ha accolto preventivamente le richieste dei cacciatori. Grazie anche alla nostra opposizione, è stato almeno impedito l’inserimento nel calendario venatorio delle specie moretta e combattente. Lavoreremo già da oggi affinché vengano nuovamente escluse dalla caccia tutte le specie oggetto del ricorso, in quanto molte di esse sono considerate specie in declino e presenti nella nostra Regione con poche decine di individui".


WWF Italia Onlus, Abruzzo
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Il sindaco di Penne vieta la caccia tra la città e l’Oasi per tutelare chi frequenterà il nuovo sentiero

Comunicato stampa del 17 ottobre 2018

Il sindaco di Penne vieta la caccia tra la città e l’Oasi per tutelare chi frequenterà il nuovo sentiero

Il WWF: «I fucili sono del tutto incompatibili con la fruizione della natura»

Si parla tanto dei danni da fauna selvatica, ma sono assai più gravi quelli provocati dai cacciatori. Nel solo periodo delle pre-aperture il bilancio, tra morti e feriti, è quello di una guerra. La caccia al cinghiale aumenta i problemi anziché risolverli. Spari a Lanciano a pochi metri dal canile


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Con ordinanza n. 144/2018 il sindaco di Penne Mario Semproni ha disposto il divieto di caccia sino al 31 dicembre lungo il sentiero “Serafino Razzi”, che da Fonte Nuova arriva sino alle Pinetina, collegando di fatto il centro urbano con la Riserva naturale regionale e Oasi WWF “Lago di Penne”. Lungo il sentiero sono attualmente in corso lavori di ripristino e manutenzione della linea fognaria mentre da lunedì 22 prossimo il percorso entrerà a far parte della nuova rete sentieristica della Riserva.

Il provvedimento del sindaco è volto a scongiurare incidenti, oggi a tutela degli operai dell’ACA e da lunedì in avanti per salvaguardare i numerosi cittadini, a cominciare dai giovani e in particolare dagli studenti, che percorreranno quel sentiero.

«Quella del sindaco Semproni è una scelta saggia e lungimirante – commenta il vicepresidente del WWF Italia Dante Caserta – che contrasta con la assurda politica filo-venatoria di molti assessorati regionali alla caccia, compreso quello abruzzese, che troppo spesso continuano a far prevalere gli interessi della piccola minoranza dei cacciatori a quelli della stragrande maggioranza dei cittadini che vorrebbero potersi godere tutto l’anno le passeggiate in natura senza rischiare di finire impallinati».

Una preoccupazione, quella dei rischi legati all’attività venatoria, tutt’altro che infondata. Nel solo mese di settembre, per le cosiddette “preaperture”, ci sono stati in Italia 4 morti e 13 feriti causati da armi da caccia, tra i quali 2 morti e 5 feriti non cacciatori. Numeri impressionanti ma perfettamente in linea con l’andamento generale di una pratica (ci rifiutiamo di definirla uno “sport”) dannosa per l’ambiente, per gli animali e per l’uomo. Nella stagione venatoria 2017-2018 (circa 5 mesi) i morti furono ad esempio 30 (20 cacciatori e 10 “civili”) e i feriti 84 (60 tra i cacciatori). Non a caso la meritoria Associazione vittime della caccia, che da anni porta il conto, intitola i suoi report periodici “Bollettino della guerra”.

Secondo il WWF il fatto che ci siano tante persone coinvolte anche tra i non cacciatori è la dimostrazione evidente del fatto che la presenza nel territorio per cinque mesi l’anno di un vero e proprio “esercito armato” non è più compatibile con il pacifico godimento della natura da parte di famiglie, escursionisti, birdwatchers. I fatti di cronaca lo dimostrano ampiamente, a cominciare dal caso del 19enne colpito all’addome in Liguria da un proiettile da cinghiale. Una vicenda terribile, ma non certo l’unica: a Cesena un ragazzino di 8 anni è stato raggiunto da pallini alla schiena mentre era nel cortile di casa; a Rimini un uomo è stato ferito al volto mentre percorreva una pista ciclabile lungo un fiume; a Faenza sono stati colpiti 3 raccoglitori di kiwi; a Sesto Fiorentino i pallini sono giunti sul tavolo di un ristorante mentre una famigliola era a tavola… In Abruzzo sinora ci è andata bene, ma è soltanto una questione di fortuna.

Il WWF Italia ha recentemente scritto ai ministri competenti sottolineando la gravità del problema e la necessità di intervenire con una serie di misure. Gli incidenti di caccia non sono frutto di fatalità e soprattutto non sono inevitabili: spesso sono causati da una aperta violazione della Legge quadro nazionale (Legge n.157/1992) e di quelle regionali di settore. Ad esempio il mancato rispetto delle distanze minime da strade e centri abitati: è di qualche giorno fa l’episodio di spari a poche decine di metri dal canile di Lanciano (CH) dov’erano presenti volontari e visitatori, compresi bambini! Non solo: c’è una diffusa tendenza a premere il grilleto senza inquadrare il “bersaglio”; la cattiva abitudine di accompagnare le battute di caccia, soprattutto quella al cinghiale, con colazioni spesso comprensive di vino e altri alcolici. A tutti questi fattori negativi si aggiunge l’elevata età media dei possessori di licenza di caccia. È inoltre gravissimo il fatto che alla licenza si accompagni la possibilità di detenere un numero illimitato di fucili, 3 armi comuni da sparo (quindi anche pistole) e 6 armi per uso sportivo, più 1.000 (MILLE!) cartucce: un vero e proprio arsenale! Tra l’altro il WWF fa notare che spesso con fucili da caccia regolarmente registrati sono stati commessi omicidi, anche familiari. Questo aspetto, unito al problema dell’uso di alcol, fa sorgere legittimi dubbi sull’accuratezza delle verifiche psicologiche cui vengono sottoposti i cacciatori, prima di consegnare loro armi estremamente pericolose. Alla luce di queste osservazioni, il WWF Italia ha proposto alcune misure preventive da mettere in atto il prima possibile per evitare che il numero di vittime innocenti continui ad aumentare. Tra queste: incrementare l’attività di vigilanza, anche facilitando la nomina e l’azione di nuove guardie volontarie venatorie; rendere molto più severi gli esami per la licenza di caccia; limitare l’uso di armi a canna rigata, in grado di sparare a ben 4 km di distanza; effettuare maggiori controlli sulle licenze, vietando nel contempo l’assunzione e la detenzione di sostanze alcoliche. Ma soprattutto il WWF chiede il divieto assoluto di caccia nei giorni festivi e in particolare nelle aree altamente frequentate da sportivi ed escursionisti. Non è tollerabile che chi vuole fare una passeggiata in natura debba avere a che fare con persone armate che seminano piombo per le campagne. Oggi l’ambiente è molto più frequentato rispetto a 30 anni fa e il suo utilizzo ricreativo è incompatibile con l’azione venatoria. Questo vale anche e soprattutto in Abruzzo nel cui brand turistico la natura e il suo godimento sono in primissimo piano. Cicloturismo, escursioni, gite… nelle aree protette e in tutto il resto del territorio non possono diventare attività a rischio solo perché per 5 mesi l’anno una piccola minoranza di cacciatori vuole divertirsi sparando e uccidendo animali inermi.

“La caccia - conclude il delegato Abruzzo del WWF Luciano Di Tizio - non ha giustificazione alcuna se non la gratificazione di chi la pratica. Persino il tanto decantato contrasto dei cacciatori e dei cosiddetti selettori alla proliferazione dei cinghiali è un concetto fuorviante: ci sono studi scientifici che dimostrano come affrontare il problema (creato dagli stessi cacciatori con i ripopolamenti) con i fucili sia deleterio: sparando si determina un aumento della fertilità e la destrutturazione dei branchi con il risultato, opposto alle attese, di far aumentare sia il numero dei cinghiali che i danni alle coltivazioni e al traffico. Eppure si va avanti con colpevole tenacia e con il beneplacito di una classe politica che anziché studiare i problemi e cercare davvero di risolverli punta solo su azioni di facciata, alla ricerca di facili consensi elettorali”.


WWF Italia Onlus, Abruzzo
abruzzo@wwf.it

giovedì 11 ottobre 2018

Tra poche ore si decide sul ricorso Federcaccia per allungare il periodo di caccia

La protezione è la regola, la caccia l’eccezione, scrive il Wwf e con l’atto d’intervento ad opponendum degli avvocati Michele Pezone ed Herbert Simone la battaglia, a mani nude, delle associazioni ambientaliste va avanti dinanzi al Tribunale amministrativo regionale dell’Aquila che tra poche ore procederà a decidere sulla domanda cautelare presentata da Federazione italiana della caccia e Federcaccia Abruzzo contro il calendario venatorio 2018/2019 e ne chiedono, in sostanza, una estensione in termini temporali e nel numero delle specie cacciabili. Un ricorso dal quale, per inciso, altre associazioni venatorie si sono dissociate. 
Il Wwf ha presentato in proposito un atto di intervento ad opponendum e domani sarà presente in aula con gli avvocati Michele Pezone ed Herbert Simone. Nel proprio documento l’associazione ambientalista risponde punto per punto alle argomentazioni portate avanti nel ricorso, che viene giudicato inammissibile e infondato, e ribatte, con la frequente citazione di altre sentenze in merito, pronunciate anche dallo stesso Tar dell’Aquila, a ciascuna delle motivazioni espresse dalle due associazioni ricorrenti. La richiesta di sospensione delle parti del calendario che porrebbero limiti all’attività venatoria appare fondata essenzialmente sulla lesione delle aspettative ad esercitare pienamente “il diritto di caccia” da parte dei cacciatori. Ferma restando l’infondatezza di tali richieste, non v’è dubbio che nel bilanciamento degli interessi contrapposti è preminente la tutela di quelli ambientali e della vita della fauna protetta. Lo dice chiaramente la legge 157/92 all’art. 1 comma 2: “L’esercizio dell’attività venatoria è consentito purché non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno alle produzioni agricole”.
«Colpisce il fatto che si vogliano aumentare i giorni di caccia e le specie cacciabili anche a fronte degli ultimi drammatici incidenti che hanno evidenziato l’incompatibilità tra gli spari e la fruizione turistico-ricreativa del territorio e quando si comincia anzi giustamente a pensare di vietare l’esercizio venatorio nei giorni festivi» commenta Pezone e aggiunge Simone, già vice presidente Wwf Abruzzo: «La 157/92, chiamata  riduttivamente legge sulla caccia, regola sì anche l’esercizio venatorio, ma le sue finalità non si esauriscono con questa funzione. In sostanza, la protezione è la regola, la caccia l’eccezione».

venerdì 5 ottobre 2018

Legambiente Abruzzo: “Basta favori alle lobby dei cacciatori e dei politici che non sanno di cosa parlano”

In una nota diffusa a mezzo stampa, l’associazione ambientalista spiega in maniera dettagliata le ragioni di un auspicabile cambio di gestione della caccia al cinghiale.

“Troviamo assurde le polemiche di questi giorni in merito al Protocollo sottoscritto tra le Aree protette e la Regione Abruzzo, per il contenimento e la gestione delle popolazioni in sovrannumero dei cinghiali dentro e fuori le aree protette. Anziché apprezzare lo sforzo compiuto da quasi tutto il sistema delle aree protette della regione e la serietà e la responsabilità con cui anche noi ci siamo fatti carico di contribuire alla risoluzione del problema e garantire la sicurezza dei cittadini, c’è chi ancora utilizza in chiave elettorale il mondo venatorio e le sue richieste fuori luogo e oramai fuori dal tempo.

Nel Protocollo sono chiari i punti di azione e di tutela, messi in atto attraverso il coinvolgimento dell’ISPRA e l’azione diretta delle aree protette per contenere un fenomeno che innanzitutto danneggia la biodiversità, oltre agli agricoltori e ai cittadini tutti. In questo documento non si fa altro che ribadire il richiamo e il rispetto delle leggi in vigore e l’adozione di pratiche di controllo della popolazione del cinghiale, attraverso le catture e gli abbattimenti selettivi, previsti dalla legge in materia di aree protette.

Se proprio è necessario polemizzare, chiediamo noi a tutta la classe politica, attuale e passata, quali azioni hanno messo in campo per fermare la deriva venatoria, utilizzata come unica modalità di gestire la fauna in Abruzzo, le risorse spese senza ottenere risultati e il perché ci ritroviamo sempre gli stessi funzionari pubblici a occuparsi di caccia, nonostante i palesi fallimenti.

Ci aspettiamo che non solo le associazioni agricole, ma soprattutto quelle venatorie, dimostrino apprezzamento per quanto le aree protette hanno intenzione di fare per un problema che non hanno creato queste ultime.

Un mondo venatorio che deve necessariamente interrogarsi sul fallimento del modello di gestione della caccia, di cui sono gli unici responsabili e che in Abruzzo, in particolare, non ha saputo dare nessuna risposta concreta, ma ha invece contribuito a produrre e aggravare il disastro attuale.

Infine, troviamo imbarazzo ogni volta che dobbiamo commentare le prese di posizioni dell’assessore Pepe, che a differenza dei sui colleghi, Beradinetti e Lolli, rappresenta la parte più arretrata della maggioranza di governo regionale. Interrogarsi sul silenzio venatorio anche la domenica, non può essere inteso come una mera scelta tra ambientalisti contro i cacciatori, ma deve essere inquadrata nella riflessione politica in atto, che vede la regione Abruzzo capofila di una nuova strategia per il turismo attivo e sostenibile, una scelta strategica al di sopra delle parti, che fa della regione dei Parchi anche quella dell’ecoturismo e del vivere gli spazi naturali in libertà. E’ chiaro che questo trend di presenze turistiche si concentra maggiormente nei week-end e quindi bisogna ragionare tutti insieme su come far collimare la crescita positiva di queste presenze e l’attività venatoria in sicurezza. Perciò, consigliamo all’assessore Pepe, prima di abbandonarsi alle banalità filo cacciatori, di consultarsi con i suoi colleghi di giunta, Lolli e Berardinetti, di cui apprezziamo l’impegno e l’operato”.
 

giovedì 4 ottobre 2018

Cinghiali Abruzzo: firmato protocollo Regione-Parchi per Piano di contenimento

L'AQUILA - Firmato il protocollo d’Intesa per la gestione e il contenimento del cinghiale nelle aree protette nazionali e regionali e sui territori ad esse contigui.

Esprime soddisfazione l’assessore regionale ai Parchi e Riserve, Lorenzo Berardinetti, per la sottoscrizione del protocollo "frutto di un vero e proprio lavoro di squadra, portato avanti con metodo e costanza, che ha beneficiato del contributo in termini di contenuti apportato da tutti i soggetti referenti dei parchi e delle riserve e delle associazioni ambientaliste nel corso delle numerose riunioni del tavolo tecnico regionale permanente per la protezione delle colture e degli allevamenti dalla fauna selvatica".

Un ottimo risultato che permetterà di gestire un fenomeno che continua a preoccupare l'intero Abruzzo.

"Il protocollo è stato firmato da Antonio Carrara in rappresentanza del parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise", ha continuato Berardinetti, "Claudio D’Emilio per il parco nazionale della Majella, Igino Chiuchiarelli per il Parco regionale Sirente-Velino, Giuseppe Di Marco componente del direttorio delle riserve regionali e rappresentante di Legambiente e Antonio Innaurato presidente della commissione Agricoltura che insieme a me ha rappresentato la Regione".

Il protocollo resta aperto alla sottoscrizione di tutti coloro che hanno condiviso l’iter di definizione dell’intesa, nello specifico i rappresentanti di: Parco nazionale Gran Sasso e Monti della Laga, Wwf, lega Coop e Ambiente e Vita.

"Per la prima volta le aree protette attueranno azioni concrete di gestione e di contenimento del cinghiale in rete", ha precisato ancora l'assessore ai Parchi e alle Riserve, "acconsentendo in maniera condivisa alle operazioni di prelievo per il contenimento della specie sulla base di un piano di gestione regionale integrato. Il protocollo, con l’obiettivo di riequilibrare e contenere la popolazione di cinghiale, definisce attività e interventi operativi, integrati e coordinati tra le aree Protette e la Regione. Il risultato della sottoscrizione del protocollo porterà alla riduzione dei danni da cinghiale all'agricoltura, al ripristino della sicurezza stradale e della sicurezza nei centri abitati e all'attivazione di una filiera delle carni del cinghiale abruzzese che renda fattibile, e anche economicamente sostenibile, la valorizzazione di un prodotto controllato per lo sviluppo di economie locali. Viene inoltre previsto, a cura della Regione Abruzzo, l’emanazione di un bando per la predisposizione del piano di gestione integrato. Questo strumento è un ulteriore segnale di attenzione che la Regione da agli agricoltori ed alle popolazioni residenti che subiscono, con apprensione, l’elevata presenza del cinghiale. Voglio ringraziare i rappresentanti delle aree protette e delle associazioni ambientaliste che oggi hanno firmato l’intesa dimostrando lungimiranza nella ricercare di soluzioni condivise e non scontate".

Fonte: abruzzoweb.it del 29 settembre 2018

giovedì 27 settembre 2018

Cervo ucciso nella Valle Roveto: denunciato un cacciatore di Capistrello, indaga la procura

Capistrello – Ci sarebbe una denuncia per l’episodio di caccia di frodo consumatosi nella Marsica nel fine settimana appena trascorso. Si tratta di un cacciatore di Capistrello accusato dell’uccisione di un esemplare di cervo, ma nella vicenda potrebbero essere coinvolte anche altre persone. L’accusa per l’uomo è quella di aver cacciato una specie protetta. Il cervo, infatti, rientra tra gli animali su cui vige divieto di caccia in tutto il territorio della Regione Abruzzo. Il cacciatore sarebbe strato colto sul fatto dai carabinieri forestali della stazione di Canistro proprio mentre scuoiava l’animale. Sul posto sono prontamente intervenuti anche i sanitari della Asl di Avezzano i quali hanno riscontrato fori compatibili con colpi d’arma da fuoco, presumibilmente una carabina, sul corpo del cervo che ne avrebbero causato il decesso. L’episodio di bracconaggio sarebbe avvenuto sabato mattina nel territorio montano della Valle Roveto al confine tra i comuni di Capistrello e Canistro. Indagini sono in corso da parte della Procura di Avezzano per fare ulteriore chiarezza sulla vicenda.

martedì 25 settembre 2018

Danni da cinghiale: la caccia ne provoca l’aumento e non la diminuzione

Comunicato stampa del 25 settembre 2018
 
Uno studio europeo dimostra quello che il WWF e altre associazioni sostengono da sempre

Danni da cinghiale: la caccia ne provoca l’aumento e non la diminuzione

Uccidendo adulti si innescano risposte compensative nella fertilità e cresce la dispersione
 


Negli ultimi decenni la popolazione di cinghiali in tutta Europa, nonostante la forte pressione venatoria e a dispetto delle tante metodiche di caccia messe in atto, è cresciuta in maniera addirittura esponenziale. Lo dimostra, dati alla mano, uno studio pubblicato già da qualche anno dalla rivista Pet Management Science, firmato da diversi autori provenienti da quasi tutta Europa (G. Massei et al., “Wild boar populations up, numbers of hunters down? A review of trends and implications for Europe”. Pet Management Science, volume 71, aprile 2015, pp. 492-500).

I ricercatori hanno evidenziato come la mortalità naturale (pressioni climatiche, malattie e predazione, soprattutto da parte del lupo), incidendo in gran parte sulle classi giovanili, mantiene una struttura della popolazione più stabile e determina una minore dispersione di individui. L’attività venatoria, al contrario, colpisce soprattutto gli adulti e innesca risposte compensative tra i cinghiali e li diffonde maggiormente nel territorio. In altre parole la destrutturazione della popolazione che si ha attraverso l’azione dei cacciatori (anche di quelli, aggiungiamo noi, che hanno acquisito il ruolo dei cosiddetti “selecontrollori”) comporta l’aumento del tasso riproduttivo, la riproduzione precoce delle femmine e un maggior tasso di dispersione tra i giovani, che sono poi quelli che più creano danni alle produzioni agricole, come ben sa chi affronta il problema su basi scientifiche e non basandosi sui “si dice” e su impressioni non di rado interessate.

Nello studio si sottolinea che il tasso di aumento medio della popolazione di cinghiali in Europa è stato quasi sempre superiore a 1 con picchi sino a 1,46. Vuol dire che, dai primi anni ‘80 del secolo scorso a oggi, l’attività venatoria non ha in alcun modo contenuto la crescita numerica delle popolazioni. Senza mai dimenticare che le immissioni per la caccia, legali e non, hanno al contrario contribuito ad aumentare enormemente il numero dei cinghiali. Già nel 1993 un documento tecnico dell’allora Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (oggi confluito nell’ISPRA) sottolineava come l’attività venatoria “è responsabile di ripopolamenti più o meno massicci e di introduzioni con individui provenienti da regioni geograficamente molto distanti”.

«Il tentativo – sottolinea il responsabile regionale del WWF Luciano Di Tizio - di limitare i danni alle coltivazioni aumentando la pressione venatoria, che continua a essere in Abruzzo e in altre regioni italiane la scelta privilegiata di una politica miope e che prende le proprie decisioni sulla base di impressioni e non su fondamenti scientifici, è dunque profondamente sbagliato. Basterebbe confrontare l’evoluzione dei danni negli anni per rendersene conto: sono tendenzialmente stabili là dove la caccia è poco o per nulla presente, tendono ad aumentare in presenza di una pressione venatoria esagerata».

«Sarebbe ora di finirla una volta per tutte – aggiunge il vice presidente del WWF Italia Dante Caserta - con soluzioni semplicistiche che hanno un puro e semplice effetto propagandistico e che servono al più a raccogliere qualche consenso (e forse qualche voto) nel mondo venatorio. La strategia che attribuisce ai cacciatori il compito di contrastare un problema che loro stessi hanno determinato è perdente, inutile e spesso dannosa, ad esempio quando si autorizza la braccata con i cani, la peggiore soluzione in assoluto perché, oltre ad arrecare disturbo a tutta la fauna, anche quella protetta e preziosa (basterà citare l’orso marsicano), contribuisce ad aumentare il tasso di dispersione dei cinghiali e di conseguenza produce un aumento proprio di quei danni, alle coltivazioni e alla sicurezza stradale, che si vorrebbero contenere».


WWF Italia Onlus, Abruzzo
abruzzo@wwf.it

lunedì 24 settembre 2018

Cervo ucciso nella Valle Roveto, nei guai un gruppo di cacciatori

Marsica – Hanno ucciso un cervo, ma sono stati sorpresi dai carabinieri forestali mentre si accingevano a scuoiare l’animale appena cacciato. Nei guai sono finiti un gruppo di cacciatori intercettati dai militari della stazione di Canistro. L’episodio di caccia di frodo si è consumato nel fine settimana in un comune della Valle Roveto. Il cervo rientra tra le specie protette e pertanto, in Abruzzo, non può essere cacciato così come previsto dal calendario venatorio regionale.

In Marsica si ricorda un precedente nel marzo del 2016 quando alcuni cacciatori vennero accusati dell’uccisione di un esemplare adulto di cervo, un maschio del peso di 300 chilogrammi, nei pressi del Parco Nazionale d’Abruzzo esattamente in area contigua Zona Protezione Esterna di un’area protetta per arma da fuoco.

Federica Di Marzio

Fonte: marsicanews.com del 24 settembre 2018

venerdì 21 settembre 2018

Abruzzo. Le Associazioni venatorie litigano tra loro per il ricorso presentato da Federcaccia

Ricorso bis al calendario venatorio: il dissenso di tre associazioni di cacciatori

Con una certa sorpresa i presidenti provinciali di Teramo di Arcicaccia, Enalcaccia e Liberacaccia apprendono dal comunicato stampa diramato da Ermanno Morelli che la Federcaccia avrebbe presentato un ricorso al Tar contro il calendario venatorio della Regione Abruzzo, l’ennesimo ricorso.


La cosa desta perplessità per una serie di motivi.

Innanzitutto la tempistica. A pochi giorni dalla pubblicazione della sentenza del Tar pronunciatosi sulla sospensiva richiesta dal WWF, e che ha dato sostanzialmente ragione alla Regione Abruzzo, spunta un nuovo ricorso al Tar proposto da Federcaccia.

L’Assessore Regionale Dino Pepe ha appena fatto in tempo a comunicare a mezzo stampa la notizia dell’avvio della stagione venatoria così attesa dai cacciatori, che cade una ennesima tegola su questo delicato atto regionale.

Arcicaccia, Enalcaccia e Liberacaccia non possono che constatare come il calendario venatorio in Abruzzo abbia ogni anno un parto sempre difficile, legato probabilmente alle richieste delle Associazioni Ambientaliste che in maniera piuttosto strumentale e demagogica giocano a creare inutili impedimenti all’attività venatoria. In questo clima di battaglia ci sarebbe bisogno di unità nel mondo venatorio, sicuramente non di altri ricorsi. Difatti questi sono sempre accompagnati da sentenze che lasciano l’amaro in bocca, oltre allo sperpero di denaro, e creano molta confusione tra i cacciatori i quali non hanno più certezza delle regole, fino al pronunciamento del Giudice di turno.

Tutti i cacciatori ormai sanno che lo strumento del Calendario Venatorio ha una nascita molto partecipata tra tutte le componenti interessate raccolte nella Consulta Regionale della caccia: amministratori, Parchi, cacciatori, agricoltori, ambientalisti, ecc.. E’ in quella sede che i vari rappresentanti, soprattutto quelli delle Associazioni Venatorie, devono fare la loro parte con fermezza ma con altrettanto senso di responsabilità.

Secondo le sigle che rappresentiamo fare richieste volutamente inaccettabili, creare polemiche strumentali, proporre continui ricorsi al Tar – per giunta pagati con i soldi dei cacciatori – non fa parte del corretto approccio alla democrazia partecipata, ma viceversa appare come una stantia strategia che si basa sulla ricerca della critica a tutti i costi, utile forse a qualcuno, ma non certamente alla caccia ed ai cacciatori.

La continua ricerca della strumentalizzazione e della polemica a tutti i costi, come ormai tutti hanno inteso, riguarda più la sfera politica che non quella amministrativa; prova ne è che ad ogni polemica, ricorso, contrapposizione, spunta il nome dell’Assessore regionale di turno o di qualche Consigliere che gli si contrappone.

In questo clima di veleni, in cui i rappresentanti appaiono più impegnati a guerre impossibili prima ancora che a diatribe politiche, non meraviglia che l’opinione pubblica e le istituzioni maturino un certo sentimento di scetticismo che porta ad un inevitabile distacco dal mondo venatorio e dalla caccia.

Arcicaccia, Enalcaccia e Liberacaccia, nel prendere le dovute distanze dall’iniziativa intrapresa da Federcaccia, intendono rilanciare il dialogo, aperto ma determinato, con le istituzioni; occorre intraprendere in maniera unitaria tra tutte le Associazioni un percorso condiviso, sposare un metodo di lavoro costruttivo, non distruttivo o di ostinata contrapposizione spesso condotta per le vie legali; serve un lavoro di concertazione, basato sulla composizione armonica di istanze differenti e soprattutto illuminato dalla capacità di mediazione. Solo così le istituzioni potranno farsi carico delle nostre istanze e l’opinione pubblica riconoscere le qualità ancora da riscoprire delle nostre attività. 
 

giovedì 20 settembre 2018

Abruzzo. Calendario venatorio: nuovo ricorso al Tar di Federcaccia

Nuovo ricorso della Federcaccia in merito al calendario venatorio. Il nuovo ricorso si basa sulla necessità di ripristinare la legalità della formazione del calendario venatorio abruzzese, anche in ottica futura.

Con questo ricorso di mira ad ottenere da parte del Tribunale amministrativo il ripristino delle specie cacciabili e dei relativi periodi di caccia. La Regione, infatti, di sua iniziativa, contrariamente a quanto stabilito dalla Legge nazionale sulla caccia, che decide le specie cacciabili, ha deciso di propria iniziativa di cancellare alcune specie e di restringere il periodo di caccia per altre. Iniziativa che è in totale contrasto con una Legge sovrastante, come speriamo accerti il Tar.

Nel ricorso di Federcaccia ci sono anche ulteriori aspetti che sono a nostro avviso contrari alla legge e incostituzionali, Ci spiace che l’assessorato alla caccia continui a perseguire una linea politica illegittima.

“L’assessore alla caccia Dino Pepe”, si legge in una nota, “alle soglie di una campagna elettorale dove non troverà sicuramente il consenso e l’appoggio dei cacciatori, ha preferito continuare con ottusità politica sulla sua strada, piuttosto che aprire un serio e sereno confronto con i cacciatori. I quali chiedono solamente il rispetto delle leggi.

L’assessore Pepe, che già punta al nuovo piano faunistico venatorio, non deve dimenticare di seguire la linea politica sulla base di quello esistente che, fino ad approvazione del nuovo, ha valore ed esplica i suoi effetti legali. Le ripetute affermazioni dell’assessore e dei suoi uffici sembrano voler significare l’assenza totale del piano faunistico, cosa che invece non è vera”.
 

lunedì 17 settembre 2018

Domenica da “Far West” nelle campagne di Spoltore: doppiette in azione all’alba

E’ stato davvero un brutto risveglio per molti spoltoresi, quello di ieri mattina domenica 16 settembre. Come ogni inizio autunno, o fine estate, sono tornati in campagna i cacciatori ovvero quelle persone che trovano nell’attività di uccidere volatili selvaggi, ed altre specie animali indifese, una sorta di passione e/o divertimento. Purtroppo è la legge, nel calendario venatorio 2018, approvato dalla Regione Abruzzo, a consentire a costoro di attraversare fondaci e sparare, sin dalle prime luci del mattino, disturbando anche il sonno di chi, residente nelle campagne delle cinque frazioni di Spoltore, vorrebbe riposare dopo una settimana di duro lavoro, con quei rumori di morte che se non tutti, moltissimi, detestiamo. 
 
Le specie che potranno essere cacciate nel nostro territorio sono il fagiano, la quaglia, la tortora, il merlo, la cornacchia, la gazza e la ghiandaia alle quali si aggiungeranno dal 1 ottobre il cinghiale, la lepre, la volpe e la starna. 
In molti, però, ci stanno scrivendo, sostenendo di avere trovato anche dei bossoli di doppiette all’interno delle loro proprietà: sono giustamente preoccupati perchè gli incidenti, provocati da chi pratica queste attività, non sono infrequenti. Ogni anno, infatti, qualche cacciatore perde la vita o rimane ferito colpito da ‘fuoco amico’ durante una battuta di caccia. 
 
Percio’ il nostro consiglio, qualora doveste avere l’impressione che qualcuno di questi appassionati delle armi stia sparando troppo vicino alle vostre abitazioni e, quindi, mettere in pericolo l’incolumità vostra o dei vostri cari, è quello di chiamare immediatamente i carabinieri. Loro sapranno far rispettare la legge ed i limiti di sicurezza entro i quali, ahinoi, questa pratica medioevale è ancora praticabile.

venerdì 14 settembre 2018

Calendario venatorio Abruzzo. Il TAR accoglie parzialmente la sospensiva richiesta dal WWF

Comunicato stampa del 14 settembre 2018 
 
Calendario venatorio Abruzzo. Il TAR accoglie parzialmente la sospensiva richiesta dal WWF

Niente caccia alla lepre a settembre. L’Associazione ambientalista soddisfatta per i risultati ottenuti. Grazie anche alle modifiche già ratificate dalla Regione i danni saranno giustamente limitati

“Abbiamo salvato dal massacro quasi centomila lepri!”: è questo il commento a caldo del coordinatore regionale delle Guardie WWF, Claudio Allegrino, alla ordinanza emessa poche ore fa dal TAR in merito al calendario venatorio regionale.

Il WWF aveva chiesto con il suo ricorso la sospensiva per impedire la caccia a settembre alle specie fagiano, quaglia e lepre. I giudici hanno sospeso la caccia alla lepre per il mese di settembre mentre per quaglia e fagiano hanno ritenuto di non esserci più esigenze cautelari: il calendario venatorio nella sua seconda versione si era infatti già parzialmente adeguato prevedendo il posticipo al 1 ottobre per queste ultime due specie nelle aree Natura 2000 (SIC e ZPS).

Il divieto di caccia alla lepre a settembre salverà potenzialmente 98.952 animali: sono stati cancellati infatti 7 giorni di attività venatoria in ciascuno dei quali ogni cacciatore (in Abruzzo secondo i dati Istat 2007 sono 14.136) avrebbe potuto ucciderne una. “Un risultato importante che si aggiunge – sottolinea il delegato Abruzzo del WWF Italia Luciano Di Tizio - agli altri già ottenuti in questi mesi grazie alle puntuali osservazioni presentate dalla nostra associazione e alle osservazioni dell’ISPRA, in parte recepite dalla Regione dopo la presentazione del ricorso del WWF redatto dall’avv. Michele Pezone. Bisogna per questo dare atto all’assessore Dino Pepe di essersi comportato da assessore alla caccia e non da assessore ai cacciatori, come taluni suoi predecessori, sforzandosi di varare un calendario almeno rispettoso delle norme di legge e del buon senso”.

L’Ente regionale ha infatti emanato pochi giorni fa alcune modifiche migliorative al calendario venatorio con le quali ha ridotto il prelievo nei tempi e nei modi di molte specie cacciabili, accogliendo le prescrizioni dell’Ufficio Valutazione Impatto Ambientale (VINCA) della Regione Abruzzo. A queste vanno aggiunte alcune richieste del WWF pure accolte nella modifica del calendario venatorio come la restrizione del periodo di caccia alla beccaccia portata al 31 dicembre.

Dichiara Dante Caserta, vicepresidente del WWF Italia: “Vincere i ricorsi al TAR Abruzzo è oramai una prassi consolidata per il WWF e questo è dovuto non solo alla tenacia della nostra Associazione nel voler far rispettare le norme e i principi di tutela della fauna selvatica ma soprattutto alla nota e ormai cronica carenza di pianificazione faunistica della Regione. Cambiano i colori politici al governo ma purtroppo nella gestione venatoria i problemi restano immutati: mancanza del Piano Faunistico Regionale, Osservatorio Faunistico Regionale mai istituito, carenza di dati e di studi scientifici in grado di dimostrare la sostenibilità del prelievo, Comitati di Gestione degli ATC che spendono solo per ripopolamenti pronta-caccia. È ora di cambiare, anche per non far spendere inutilmente soldi ai contribuenti. La fauna, lo ricordiamo sempre, è un patrimonio indisponibile dello Stato, cioè di tutti i cittadini, non un trastullo per la piccola minoranza rappresentata dai cacciatori”.

Per concludere, un appello del WWF alla politica regionale: la manifestazione dei cacciatori abruzzesi dello scorso 6 settembre avvenuta a Pescara e che ha visto la partecipazione di meno di 50 cacciatori dovrebbe indurre i nostri amministratori pubblici ad avere meno timore di un mondo venatorio ormai in crisi generazionale e disgregato nelle sue diverse componenti associative.


WWF Italia Onlus, Abruzzo
abruzzo@wwf.it

giovedì 13 settembre 2018

Abruzzo. Sulla gestione del cinghiale il WWF chiede di cambiare approccio. Anni di caccia senza regole non hanno risolto alcun problema

Comunicato stampa del 12 settembre 2018

Finora si è perso soltanto tempo: anni di caccia senza regole non hanno risolto alcun problema

Sulla gestione del cinghiale il WWF chiede di cambiare approccio

Assurdo continuare a chiedere di risolvere il problema a chi lo ha creato e ne trae solo benefici

La bozza di protocollo d’intesa per la gestione e il contenimento del cinghiale (Sus scrofa) elaborata dalla Regione Abruzzo dimostra che, purtroppo, permane la volontà di non cambiare approccio al problema: si continuano ad anteporre gli aspetti emotivi e gli interessi rappresentati dal mondo venatorio a una seria valutazione dell’efficacia e dell’efficienza di quanto fatto fino ad oggi. Si continua in altre parole a perdere tempo e a impiegare male i fondi pubblici. L’approccio finora seguito, secondo il WWF, è completamente a-scientifico visto che ci si è limitati ad allargare modalità e periodi di caccia, senza considerare minimamente l’etologia della specie, le differenze stagionali, il clima, le relazioni all’interno delle popolazioni, ecc.
Continuare a procedere senza avere dati certi, confrontabili e validati (inutilmente richiesti ormai da decenni!) con indicatori per monitorare l’efficacia degli interventi, non fa altro che produrre azioni inefficaci dal punto di vista della riduzione dei danni e deleterie dal punto di vista ecologico.
Il WWF chiede che si parta invece da una valutazione oggettiva dei risultati delle politiche portate avanti in questi ultimi 10 anni in base alle quali si è sostanzialmente arrivati a consentire la caccia al cinghiale in tutti i periodi dell’anno e in tutto il territorio regionale (a esclusione delle aree naturali protette).
Vorremmo conoscere: 1) il numero di cinghiali abbattuti durante il periodo di caccia aperta e quello dei cinghiali abbattuti con il selecontrollo; 2) quali verifiche sono state effettuate sulle attività di selecontrollo per verificarne l’efficacia e l’effettivo svolgimento: da segnalazioni che abbiamo ricevuto quelle che dovrebbero essere delle girate si trasformano sostanzialmente in vere e proprio braccate, deleterie, soprattutto in periodi di riproduzione, non solo per i cinghiali, ma per tutta la fauna che viene inseguita e spaventata da cani e spari.
Vorremmo avere e confrontare con i dati prima ricordati:
  • quali e quante volte prima di intervenire con i fucili si siano effettivamente impiegate, sapendo dove e come, misure dissuasive non cruente (che andrebbero adottate prima degli abbattimenti);
  • i risultati delle catture portate avanti in varie parti della regione (anche all’interno di aree naturali protette), verificandone l’efficacia e l’applicabilità su altri territori.
La ricerca della soluzione del problema attraverso le medesime strategie che lo hanno determinato (in sostanza l’attività venatoria) è stata fino ad oggi del tutto fallimentare all’esterno delle aree naturali protette e lo sarebbe ancora di più al loro interno. È fondamentale che la Regione proceda a sganciare totalmente l’aspetto della gestione dei danni dall’attività di caccia. Dopo anni di politiche basate sugli abbattimenti si continuano registrare problemi alle colture: ci si deve quindi interrogare sulla reale efficacia di affrontare il problema attraverso lo strumento dei cacciatori che, dopo essere stati l’origine del problema con l’introduzione in Abruzzo di cinghiali a scopo venatorio, vengono ora individuati come la soluzione nonostante siano i meno interessati a risolverlo essendo i primi beneficiari di questa situazione che ha consentito loro di andare a caccia anche in periodi in cui tale attività è vietata e che assicura, in molti casi, una fonte di reddito non secondaria.
E la necessità di sganciare la gestione dei danni dall’attività venatoria è tanto più vera all’interno delle aree naturali protette, dove l’interesse primario da tutelare è la salvaguardia di specie e habitat.
Noi pensiamo che questa “sfida” possa e vada vinta, insieme, e in tal senso, con spirito collaborativo, chiediamo di prendere a riferimento il decalogo che riportiamo qui di seguito.
Chiediamo in tal senso all’Osservatorio Regionale per la biodiversità di esprimersi sulle proposte e di assumere il coordinamento della stesura di un documento tecnico di indirizzo, in particolare per quanto di competenza diretta, coinvolgendo le Aree Protette Regionali e il mondo agricolo, affinché il cinghiale si trasformi da centro di conflittualità in un primo vero punto di incontro.

DIECI PROPOSTE ALLA REGIONE
  1. all'interno delle aree naturali protette sono da porre in essere e favorire attività di ripristino e restauro degli equilibri naturali. Gli obiettivi e le modalità di intervento devono essere quindi diversi da quelli usati all’esterno delle stesse;
  2. qualsiasi intervento sulle specie faunistiche (compreso il cinghiale) all’interno di aree naturali protette non può essere effettuato in assenza di un apposito Piano basato su dati certi con cognizione di numero, classi d’età e sesso dei capi da abbattere;
  3. il Piano deve:
  4. a) individuare e caratterizzare aree omogenee;
  5. b) definire densità obiettivo e indicare quanto si è lontano dall’equilibrio (numero, classi di età e sesso);
  6. c) attivare riqualificazione del paesaggio agro-silvo-pastorale tradizionale;
  7. d) prevedere mezzi di dissuasione e, in subordine, di cattura;
  8. e) prevedere una diversificazione cuscinetto dei sistemi di prelievo venatorio ordinario;
  9. f) prevedere azioni secondo criteri temporali e dimensionali omogenei rispetto a quanto fatto all’esterno delle aree naturali protette, al fine di evitare disparità di interventi per giunta mal coordinati con i periodi di caccia collettiva;
  10. g) in caso di mancato raggiungimento delle densità obiettivo, prevedere che il sistema risarcitorio debba essere sostenuto dai responsabili del mancato raggiungimento degli obiettivi (anche per questo deve essere messo in piedi un sistema che in base a indicatori e monitoraggi possa evidenziare le inefficienze e gli interventi inefficaci);
  11. qualsiasi piano che riguardi la gestione del Cinghiale all’interno di aree naturali protette deve partire dall’applicazione di sistemi definiti “non cruenti”;
  12. nel caso di dimostrata inefficacia dei sistemi definiti “non cruenti” si potrà procedere a interventi di cattura basati su studi puntuali con obiettivi predefiniti, effettivamente gestiti dietro il controllo dell’area naturale protetta e affidati agli agricoltori;
  13. qualora anche la cattura dovesse risultare non efficace, va comunque escluso il selecontrollo attraverso abbattimento di capi affidato ai cacciatori. Il selecontrollo deve essere gestito, quale forma residuale e puntuale, da personale dell’area naturale protetta e da operatori dei corpi di polizia;
  14. non sono pertanto ipotizzabili interventi di “pronto intervento cinghiale” all’interno delle aree naturali protette, poiché incompatibili con le finalità stesse delle aree e con una gestione della specie, ameno che tale forma di intervento non sia limitata a eccezionali casi puntuali per motivi di incolumità e sicurezza;
  15. gli interventi di gestione del Cinghiale all’interno delle aree naturali protette, pur avendo diversi obiettivi e modalità di attuazione, devono sempre coordinarsi con i sistemi di gestione previsti nel restante territorio in relazione ai diversi istituti faunistici soggetti o meno al prelievo venatorio (attualmente questi non sono strutturati da poter essere considerati come efficaci e monitorabili o valutabili tramite indicatori di prestazione: continuare ad intervenire senza dati e in maniera scoordinata non può che aumentare il problema);
  16. in assenza di dati certi su numeri, consistenza e dinamiche di prelievo-obiettivo, un sistema di filiera di trasformazione delle carni di cinghiale rischia di essere un ulteriore elemento di perturbazione. Il soggetto chiamato ad investire per la creazione della filiera, volendo giustamente ammortizzare l’investimento fatto e mettere in funzione una attività remunerativa, richiederà un apporto di cinghiali costante (obiettivo di chi investe nella filiera non è ridurre il numero di cinghiali, ma averne un flusso costante);
  17. da ultimo, vanno ovviamente vietati interventi di sparo da automezzi o in periodo notturno all’interno di aree naturali protette poiché potenzialmente dannosi per le altre specie animali protette presenti e pertanto incompatibili con le finalità di conservazione delle aree protette.

WWF Italia Onlus, Abruzzo

domenica 9 settembre 2018

Cinghiali, Legambiente Abruzzo: siano gli Atc a pagare i danni

L’allarme dei sindaci della Val di Sangro e l’avversione ai cinghiali, per Legambiente, è stata innescata dai danni alle colture e dai ripetuti incidenti stradali causati dagli ungulati, con danni di carattere economico e sociale oltre che ecologico alla comunità e in particolare agli operatori economici, agricoli e turistici.

“La gestione inadeguata della fauna selvatica nella nostra regione oltre a dilapidare soldi pubblici e minacciare la conservazione della biodiversità, provocando una sovrappopolazione di cinghiali come conseguenza di politiche venatorie ad esclusivo vantaggio dei cacciatori – dichiara Luzio Nelli di Legambiente – Sono i cacciatori i responsabili di questa situazione e non saranno certo loro, o le loro proposte inaccettabili, a risolvere i problemi”.

No all’abbattimento a caso, i lupi insegnano. I cinghiali vivono in branco, spiegano gli esperti, con gli abbattimenti controllati e programmati dalla Provincia, si fa più danno perché potrebbe capitare che, nonostante personale esperto e formato, a finire nel mirino sia proprio la femmina che nel branco comanda ossia l‘individuo che tiene sotto controllo nascite e accoppiamenti, perché è lei che vigila sulla riproduzione e le nascite gestendo tutte le altre femmine del gruppo. Una femmina Alfa, insomma, che i lupi individuano e non si azzardano a colpire proprio per la funzione che svolge nel branco che, in mancanza, potrebbe ingigantirsi a tal punto da rendersi invincibile rispetto a qualsiasi altro branco o predatore. E potrebbe tranquillamente dominare su tutti devastando ogni cosa dato che di cibo ce n’è abbastanza ovunque per i cinghiali tra discariche abusive e non. Gli animali sanno ragionare e, a quanto pare, l’esperienza in campo insegna al lupo, ma non all’uomo.

Anche l’associazione ambientalista dice basta alla gestione venatoria del cinghiale e chiede di mettere in atto un modello innovativo per il controllo della specie domandando: “Piani di gestione della specie conformi alle linee guida emanate dall’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale (Ispra) con selecontrollo da personale formato e autorizzato e con catture attraverso gabbie o recinti – spiega Nelli – Una specie invasiva, i cinghiali, che meglio si adatta ai cambiamenti climatici a scapito di altre specie di maggiore valore ecologico. Consideriamo sbagliato il ricorso alla tecnica della braccata proposta dai sindaci – continua l’ambientalista – La gestione della fauna selvatica è completamente nelle mani dei cacciatori, sono loro che decidono dove, come e quando cacciare. Gli ambiti territoriali di caccia (Atc) sono da riformare perciò speriamo che anche gli agricoltori ne prendano, come noi, le distanze uscendo dai consigli di gestione. Per il sovrappopolamento del cinghiale devono essere gli stessi Atc a pagare i danni causati dalla fauna selvatica in eccesso. Questa nostra convinzione nasce dalla presa d’atto della recente decisione del Consiglio di Stato, del 5 luglio, che addossa ai cacciatori l’onere risarcitorio dei danni prodotti dalla fauna selvatica alla produzione agricola e zootecnica”. Legambiente potrebbe mettere in campo azioni risarcitorie ed è orientata ad una class action.


Fonte: report-age del 08 settembre 2018