sabato 8 settembre 2018

Abruzzo. Modificato il calendario venatorio regionale 2018-2019


Apportate diverse modifiche al calendario venatorio 2018-2019 che recepisce le prescrizioni VINCA chieste dall'Ufficio CCR-VIA e alcune osservazioni dell'Associazione WWF.

Scarica qui sotto il calendario venatorio modificato:
https://www.regione.abruzzo.it/caccia/index.asp?modello=eventoSingolo&servizio=LEE&stileDiv=sequence&b=evento183&tom=183

giovedì 6 settembre 2018

Abruzzo. Un flop la protesta dei cacciatori contro il calendario venatorio, nemmeno 50 a Pescara

Un flop la protesta dei cacciatori contro il calendario venatorio, nemmeno 50 a Pescara



Pescara. Meno di una cinquantina i manifestanti che stamane nel capoluogo adriatico sono scesi in piazza per protestare contro le scelte della Regione Abruzzo per un calendario venatorio classificato dai partecipanti: “Tra i più restrittivi d’Italia“.
Nei siti tematici per i cacciatori abruzzesi e molisani non è mancata la chiamata alle armi, annunciando una manifestazione di protesta organizzata per questa mattina, per contestare l’avvio della stagione venatoria 2018-2019 fissato al 16 settembre e che potrebbe slittare il primo ottobre se il Tribunale amministrativo regionale darà ragione al Wwf, Il 12 settembreil Tar Abruzzo si esprimerà sulla sospensiva richiesta dall’associazione ambientalista. Parte del mondo venatorio però è un po’ confuso visto che in alcuni siti ufficiali, gestiti dalle associazioni di categoria, risulta già che: “I cacciatori abruzzesi sono letteralmente furiosi per la mancata concessione dell’apertura della stagione venatoria 2018-2019 alla data del 16 settembre. Il no della Regione ha indispettito il mondo venatorio..“. Il mini corteo di cacciatori e familiari è partito dal piazzale della stazione ferroviaria poco dopo le ore 10, e a tanta solitudine di corso Umberto I si è aggiunto il vuoto cosmico di piazza Salotto, tralasciando il massiccio schieramento di forze dell’ordine che ha fatto da contorno. Alcuni rappresentanti dei cacciatori abruzzesi sono intervenuti criticando, in breve, le scelte della Regione Abruzzo. Forfait di alcune associazioni venatorie, altre hanno declinato l’invito a partecipare alla protesta di stamane, in sostanza, un flop smisurato e le ragioni potrebbero essere legate anche alla inadeguata capacità organizzativa, alla crisi che attraversa la categoria e le associazioni che non sembrano riuscire più a fare presa sugli iscritti, il numero si starebbe assottigliando, probabilmente i cacciatori non si sentono rappresentati, non mancano poi le divisioni. L’insuccesso di questa manifestazione rischiara aspetti del mondo venatorio poco dibattuti e dati per scontato che parlano di grandi numeri e di una vera e propria lobby che a guardare quanto è accaduto oggi sembra un tantino in crisi. Eppure al vertice c’è chi ancora accondiscende alle richieste delle doppiette. E se è solo il numero a fare la differenza, che influenza l’attività del legislatore e delle amministrazioni, allora andrebbe fatta una opportuna verifica anche delle vocazioni. In questa lobby sono piuttosto frequenti le crisi di coscienza se nel mirino finiscono animali innocui e riesce difficile spesso premere il grilletto. Di rado accade tra i produttori di armi che navigano però su altri lidi. Che nei cacciatori sia maturata una coscienza ecologista sono loro stessi a dirlo, ma questa volta non mancano indizi significativi. Di questo passaggio epocale le istituzioni dovrebbero tener conto. La Regione Abruzzo ci sta provando, grazie ad associazioni ambientaliste attente all’argomento. Proprio in questi giorni l’Abruzzo ha emanato un secondo calendario venatorio, a rettifica del precedente, che prevede ulteriori restrizioni per i cacciatori recependo così le prescrizioni del comitato regionale di Valutazione d’incidenza ambientale (Vinca), molte delle quali condivise dal Wwf, l’associazione che ha presentato ricorso al Tribunale amministrativo regionale d’Abruzzo sottolineando diverse irregolarità nel calendario appena approntato. Il 12 settembre il Tar Abruzzo si esprimerà sulla sospensiva richiesta dal Wwf che il 10 agosto ha annunciato anche di voler segnalare alla Corte dei Conti le scelte, già bocciate da precedenti sentenze del Tar, di politici e funzionari che continuano a sostenerle determinando uno sperpero di denaro a carico della comunità. L’elenco è lungo, di seguito, la cronistoria dei ricorsi al Tribunale amministrativo regionale per il calendario venatorio d’Abruzzo.

Fonte: Report-age.com del 06 settembre 2018

sabato 11 agosto 2018

Abruzzo. Passi indietro nel calendario venatorio 2018-2019 e il WWF si rivolge al TAR

Comunicato stampa del 10 agosto 2018

Incaricato l’avv. Michele Pezone che ha già redatto i ricordi vincenti degli scorsi anni

Passi indietro nel calendario venatorio 2018-2019 e il WWF si rivolge al TAR


La fauna è un patrimonio indisponibile dello Stato e non un trastullo per i cacciatori. Sarà predisposta anche una segnalazione alla Corte dei Conti: assurdo insistere su scelte già bocciate da precedenti sentenze; politici e funzionari non possono sprecare in tal modo denaro pubblico senza risponderne personalmente 
 

Il WWF ha ufficialmente incaricato l’avv. Michele Pezone di predisporre un ricorso contro il calendario venatorio 2018-2019 così come approvato dalla Regione Abruzzo.

“Un calendario – spiega il delegato Abruzzo dell’associazione Luciano Di Tizio – che purtroppo ci riporta al passato, avendo nuovamente previsto il via libera alle doppiette già da settembre, senza alcuna ragione se non quella di accontentare la parte più retrograda del mondo venatorio. L’anno scorso avevamo elogiato l’assessore Pepe e il suo assessorato per il fatto di aver consentito l’apertura solo dal 1 ottobre. In una regione travolta dagli incendi era anche poco, ma rappresentava comunque un segnale di buona volontà. Quest’anno sono tornati a prevalere gli interessi della piccola minoranza dei cacciatori rispetto a quelli della collettività e dell’ambiente”.

Aggiunge Dante Caserta, vicepresidente WWF Italia: “Non ci stancheremo mai di ripeterlo: la fauna è considerata dalla legge italiana un patrimonio indisponibile dello Stato e non è un trastullo per i cacciatori. Il calendario venatorio di conseguenza deve tenere conto in primo luogo dell’esigenza di tutelare questa fauna e non può ignorare le indicazioni di ISPRA e, peggio, far finta che non siano state emesse sentenze precedenti che hanno sancito precise disposizioni”.

L’avv. Michele Pezone da anni cura i ricorsi del WWF sul tema della caccia, con ottimi risultati: tutte le sentenze a vari livelli emesse dal 2010 a oggi sono state favorevoli alle tesi portate avanti dagli ambientalisti ed è semplicemente assurdo che la Regione cerchi costantemente di non tenerne conto.

“Ci rivolgeremo – annuncia Luciano Di Tizio – anche alla Corte dei Conti, forti del precedente recente di una condanna al risarcimento di un assessore e di un dirigente proprio su tematiche legate alla caccia. Ci sembra assurdo che si possa insistere su scelte già bocciate in sentenze passate in giudicato: politici e funzionari non possono sprecare in tal modo denaro pubblico senza risponderne personalmente”.

WWF Italia Onlus, Abruzzo
abruzzo@wwf.it

Approvato il calendario venatorio regionale Abruzzo per la stagione 2018-2019

Delibera di Giunta Regionale n. 542 del 23 luglio 2018, recante '' Approvazione del Calendario Venatorio regionale per la stagione 2018-2019 in applicazione dell'articolo 43, della L.R.
10/2004''.

https://www.regione.abruzzo.it/caccia/index.asp?modello=eventoSingolo&servizio=LEE&stileDiv=sequence&b=evento181&tom=181

venerdì 3 agosto 2018

Il Wwf al tavolo per la protezione delle colture dalla fauna selvatica

Il Wwf al tavolo per la protezione delle colture dalla fauna selvaticaSarà un confronto sulle linee di indirizzo per la gestione del cinghiale nelle aree protette che la Regione vuole mettere a punto

Il Wwf al tavolo per la protezione delle colture dalla fauna selvatica


Il Wwf parteciperà, in quanto associazione che gestisce una serie di riserve regionali, al “Tavolo tecnico regionale permanente per la protezione delle colture e degli allevamenti dalla fauna selvatica” convocato dall’assessore Lorenzo Berardinetti per domani all’Aquila: tema dell’incontro sarà un confronto sulle linee di indirizzo per la gestione del cinghiale nelle aree protette che la Regione vuole mettere a punto.

Apprezziamo molto l’invito dell’assessore e la volontà di confrontarsi su un tema importante, spesso purtroppo contraddistinto da semplificazioni che non facilitano la risoluzione del problema. È indispensabile, infatti, che la tematica sia affrontata su basi tecnico-scientifiche, mettendo da parte sia gli aspetti emotivi sia gli interessi rappresentati dal mondo venatorio.

L’esperienza maturata negli anni, in qualità di gestori di aree naturali protette, ci spinge a considerare un grave errore consentire di cacciare in parchi e riserve, scelta la cui concreta praticabilità giuridica è peraltro tutta da dimostrare. Appaiono molto più efficaci l’adozione di strumenti di dissuasione non cruenta (recinti elettrificati, dissuasori con luci e rumori, campi a perdere) e, qualora questi non funzionassero, la cattura attraverso chiusini, relegando solo in casi puntuali legati all’incolumità pubblica o a situazioni circoscritte, il ricorso ad abbattimenti veramente selettivi effettuati su capi determinati ma sempre e soltanto da parte di personale specializzato appartenente o ai parchi o alle Forze dell’ordine.

In ogni caso, come facciamo da anni, la prima cosa che chiederemo è che il confronto parta da dati reali e verificati. Se si vuole veramente affrontare una volta per tutte il problema e provare a trovare delle soluzioni concrete e percorribili, è indispensabile:

avere un quadro della presenza dei cinghiali nella regione e nei singoli territori compresi quelli nei quali sono comprese anche aree protette;

confrontarsi sui risultati delle politiche portate avanti in questi ultimi 10 anni in base alle quali oggi si è sostanzialmente arrivati a consentire la caccia al cinghiale in tutti i periodi dell’anno e in tutto il territorio regionale (a esclusione finora delle aree naturali protette);

sganciare totalmente l’aspetto della gestione dei danni dalla caccia. Dopo anni di politiche tutte basate sugli abbattimenti si continuano registrare danni alle colture, che in alcuni casi addirittura aumentano. Ci si deve quindi chiedere quale reale efficacia abbia affrontare il problema attraverso lo strumento dei cacciatori che, dopo essere stati l’origine del problema con l’introduzione in Abruzzo di cinghiali a scopo venatorio, vengono ora individuati come la soluzione nonostante non siano affatto interessati a risolverlo, essendo i primi beneficiari di questa situazione che ha consentito loro di andare a caccia anche in periodi in cui tale attività è vietata (traendone anche, alcuni di loro, introiti dalla vendita delle carni degli animali uccisi);

verificare che tipo di controlli vengono effettuati sulle attività di selecontrollo attualmente consentite, considerato che quelle che dovrebbero essere delle girate si trasformano sostanzialmente in vere e proprio braccate, deleterie, soprattutto in periodi di riproduzione come questo, non solo per i cinghiali, ma per tutta la fauna che viene inseguita e spaventata da cani e spari;

analizzare in quanti casi sono state adottate le misure dissuasive non cruente, che appunto si dovrebbero sperimentare prima di passare agli abbattimenti, e che tipo di risultati queste hanno comportato;

studiare le relazioni tra lupo e cinghiale considerato che, essendo il cinghiale alla base della dieta del lupo, l’eliminazione di un numero consistente di cinghiali spingerebbe i lupi a predare maggiormente pecore o altri animali da allevamento;

verificare i risultati delle catture che alcune realtà locali hanno portato avanti verificandone l’applicabilità su altri territori, non legandola a motivi economici di vendita delle carni, ma più opportunamente all’efficacia rispetto agli obiettivi della riduzione del danno e del superamento di eventuali squilibri ecologici per sovrannumero di capi.

Come WWF ci rendiamo conto che si tratta di un programma di attività estremamente complesso, ma la logica e l’esperienza ci spingono a lavorare in questa direzione al fine di dotare l’Abruzzo finalmente di un sistema di gestione della specie che miri a risolvere efficacemente il problema, percorrendo finalmente la strada della ricerca e del confronto tecnico e tralasciando le altre vie che fino a oggi non hanno evidentemente portato ai risultati sperati.

Fonte: cityrumors.it del 18 luglio 2018




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giovedì 2 agosto 2018

Pepe scrive a ministri per danni a fauna selvatica. Necessario tavolo di concertazione permanente con le Regioni

(REGFLASH) Pescara, 1 ago. "La caccia in braccata 5 mesi l'anno al posto dei tre attuali e un tavolo di concertazione permanente tra Regioni e Ministeri competenti con azioni concrete da mettere in campo, per fronteggiare l'insostenibile carico di cinghiali nella nostra regione".
L'assessore all'Agricoltura, Dino Pepe, lo richiede nella lettera inviata al Ministro per le Politiche agricole, Gian Marco Centinaio, ed al Ministro per l'Ambiente, Sergio Costa, dopo aver sollecitato in merito i predecessori alla guida dei due Dicasteri. Autonomia gestionale delle Regioni, per poter valutare ed implementare le strategie più opportune e funzionali al proprio assetto socio-economico e territoriale, netta distinzione tra l'esercizio dell'attività venatoria e quella di controllo; possibilità per le Regioni di ampliare i periodi di caccia di alcune specie di selvatici, in particolare degli ungulati, in presenza di esigenze riscontrate dall'Osservatorio Faunistico Regionale o dall'ISPRA; un numero maggiore di giornate di caccia settimanali per gli ungulati ed altre specie molto dannose; il controllo, la prevenzione e il risarcimento dei danni sia nelle aree a gestione programmata della caccia sia all'interno delle aree ove l'esercizio venatorio è vietato; la possibilità per le Regioni di avvalersi del parere tecnico-scientifico dell'Osservatorio Faunistico Regionale (se ne sono dotate) per il monitoraggio delle specie e la definizione degli interventi da realizzare sul territorio al fine di garantire l’equilibrio; l'avvio dell'attività venatoria nelle aree contigue ai Parchi con una modulazione della pressione venatoria; l'affidamento alle Regioni della gestione della fauna selvatica nelle aree contigue ai Parchi con appositi regolamenti.
"La regione Abruzzo ha messo in campo tutto quanto la norma consente per il controllo della specie cinghiale ma questi strumenti sono chiaramente insufficienti. E' pertanto necessario andare oltre" afferma l’assessore Pepe. "Ormai l'emergenza cinghiali, - continua l'assessore - richiede azioni decisive che non possono essere più rinviate. Il punto cruciale di questo inizio, è la riorganizzazione dell'ormai 'obsoleta' normativa nazionale con particolare riferimento alle leggi 394 del 1991 e 157 del 1992. Tuttavia, gli obiettivi desiderati, - conclude l'assessore, - si possono raggiungere solo attraverso un maggiore coordinamento tra le diverse realtà istituzionali preposte alla gestione della pianificazione faunistico-venatoria e delle aree protette (Regione-Enti Parco) e tra quelle deputate alla gestione dell'attività venatoria e del territorio a caccia programmata come Associazioni professionali agricole, associazioni venatorie ed Ambiti Territoriali di Caccia". (REGFLASH) US180801
 

Osservazioni WWF al Calendario venatorio 2018/19. Basta regali ai cacciatori: no a preapertura e prolungamenti dei periodi di caccia

Comunicato stampa del 23 luglio 2018


Osservazioni WWF al Calendario venatorio Abruzzo 2018/19

Basta regali ai cacciatori: no a preapertura e prolungamenti dei periodi di caccia

Indispensabile essere più incisivi sulla tutela dell’Orso ormai a rischio estinzione


Il WWF Abruzzo ha inviato questa mattina alla Regione le proprie osservazioni sul calendario venatorio per la stagione 2018/19. Le osservazioni partono da una premessa di carattere generale per poi scendere nei dettagli di alcune problematiche specifiche.

Nella premessa si sottolinea una ormai cronica inadempienza della Regione che, benché la legge consenta il prelievo venatorio sulla sola base del criterio della caccia programmata, continua a disattendere tale normativa “persino in merito alla redazione del più importante strumento di pianificazione faunistico-venatoria di cui dovrebbe dotarsi: il Piano Faunistico Venatorio Regionale, in prorogatio da oltre 10 anni (2007)”. Una grave carenza di pianificazione che è stata tra l’altro più volte censurata dai giudici amministrativi in varie sentenze emesse a seguito di ricorsi presentati dal WWF e che è ancora più grave visto che non ha mai visto la luce neppure l’Osservatorio Faunistico Regionale (OFR), importante strumento di studio monitoraggio e tutela previsto dalla legge regionale n. 10/2004.

Per queste ragioni il WWF ritiene che la Regione Abruzzo non possa legittimamente svolgere la propria azione amministrativa di programmazione dell’attività venatoria per la stagione 2018/19 in mancanza dei dati che attestino l’effettiva presenza della fauna sul proprio territorio: dati che non possono essere limitati a quelli cosiddetti “di carniere”, insufficienti per qualsiasi valutazione di merito.

In assenza di un quadro scientifico di riferimento sarebbe indispensabile richiamarsi al principio di precauzione (ribadito anche dalla recente Ordinanza del Consiglio di Stato n. 8713 del 2016) approvando un calendario venatorio che tenga conto della mancanza di dati che non permettono di superare i limiti della tutela stabiliti dall’ordinamento nazionale. In caso contrario, si creerebbe un grave danno alla fauna selvatica e agli equilibri biologici.

Scendendo nel dettaglio, il WWF ricorda di aver apprezzato, nel 2017, l’iniziativa presa dalla Giunta Regionale abruzzese di eliminare finalmente la preapertura a settembre e di effettuare una apertura unica al 1° ottobre. Purtroppo, nella proposta di calendario venatorio in esame, la Giunta Regionale reintroduce l’apertura dal 16 settembre, vanificando la scelta innovativa e coraggiosa dello scorso anno, dimenticando tra l’altro che l’apertura generale a ottobre era stata chiesta anche dall’ISPRA. Eliminando la preapertura torneranno a crearsi impatti negativi della caccia sulla fauna selvatica, anche su quella non cacciabile, in quanto, come è noto, a settembre molte specie sono ancora nella fase di cura della prole. Aumenterà il fenomeno del bracconaggio che avviene soprattutto quando la caccia è consentita solo ad alcune specie.

Il WWF ritiene inoltre che sia un grave errore prevedere di estendere la caccia alla Beccaccia sino al 10 gennaio nonostante i pareri contrari di ISPRA (vedi da ultimo quello con protocollo n. 35919 del 30/05/18) e la decisione dell’Ordinanza del Consiglio di Stato (n. 8713 del 2016) che chiedono di fissare come data ultima il 31 dicembre.

Il calendario venatorio proposto prevede inoltre la possibilità di estendere il periodo di caccia alla specie Colombaccio fino al 10 febbraio 2019. Ciò è incompatibile con le carenze di cognizioni scientifiche della Regione Abruzzo e delle Province, già in passato censurate dai giudici amministrativi che hanno evidenziato come l’estensione dei periodi di caccia non può essere decisa solo sulla base di alcuni dati relativi agli abbattimenti e senza un Piano Faunistico Venatorio vigente. La caccia a febbraio è estremamente dannosa e pertanto da non consentire.

Circa la caccia alla Coturnice, come già evidenziato in precedenti note indirizzate agli Uffici regionali e all’ISPRA, si spiega come recenti studi abbiano dimostrato una distribuzione della specie frammentaria e con nuclei tra loro isolati, situazione che implica uno scarso o assente scambio d’individui. In una tale situazione l’unica proposta possibile è la sospensione della caccia alla Coturnice in Abruzzo, per un periodo di tempo sufficiente alla raccolta di dati puntuali e aggiornati sulla diffusione e sul trend della specie.

Da alcuni anni l’ISPRA indica poi come sia indispensabile impedire la caccia vagante sul territorio dal 1° gennaio in poi, indistintamente dalle specie cacciate. Si ritiene infatti, giustamente, che in tal modo si riduca l’impatto dell’attività venatoria sul territorio e sulle specie animali in genere. Va dunque introdotta nel calendario una disposizione che preveda dal 1° gennaio la caccia sul territorio abruzzese possa essere esercitata esclusivamente sotto forma di appostamento fisso o temporaneo, peraltro ciò consentirebbe un migliore controllo dell’attività da parte degli organi di polizia.

Il WWF ricorda anche che, con Deliberazione n. 480 del 5/7/2018, la Regione Abruzzo ha approvato la perimetrazione dell’area contigua al Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise. È opportuno che il calendario in approvazione recepisca quanto definito dalla relativa normativa di attuazione. Va poi portato il carico venatorio a 1 a 40 in tutta la ZPE abruzzese del Parco, adeguandosi al carico di Lazio e Molise.

Ancora: va abolita la possibilità di effettuare la caccia in forma collettiva con l’utilizzo di tre cani (cosiddetta “mini-braccata”) nella Zona di Connessione ed Allargamento (ZPC) e vanno uniformate le modalità e le forme di caccia tra ZPC e ZPE (Zona di Protezione Eesterna al Parco d’Abruzzo), aree nelle quali è accertata la presenza dell’Orso Bruno Marsicano.

“Proprio per la salvaguardia dell’Orso bruno marsicano dal pericolo di estinzione vanno adottati provvedimenti più incisivi”, dichiara Dante Caserta, vicepresidente del WWF Italia. “Appare quanto mai opportuno estendere le misure previste per la ZPE a tutto l’areale dell’Orso nonché adottare nell’area contigua del Parco Nazionale d’Abruzzo tecniche di caccia a minor impatto (caccia di selezione). L’integrazione tra il calendario venatorio e il Piano d’Azione per la Tutela dell’Orso Marsicano (PATOM), deve essere reale e concreta se la tutela della specie rappresenta effettivamente una priorità. L’attuazione di pratiche venatorie a minor impatto non può essere, quindi, relegata alla sola ZPE, ma va estesa a tutto l’areale della specie a cominciare dall’introduzione del divieto di braccata al cinghiale a vantaggio di tecniche venatorie a minor impatto”.

“Siamo alle solite”, conclude Luciano Di Tizio, delegato WWF Abruzzo. “Se lo scorso anno era stato fatto qualche passo avanti in materia di gestione faunistica, la Regione Abruzzo sembra ora voler tornare indietro. Ribadiamo per l’ennesima volta che la fauna è patrimonio di tutti e non dei soli cacciatori e che la sua gestione deve essere svolta su basi scientifiche e nel rispetto delle normative di tutela. Ci aspettiamo che la Regione riveda il calendario prima di approvarlo, altrimenti saremmo costretti a ritornare nelle aule giudiziarie che finora hanno sempre visto la Regione soccombente”.


WWF Italia Onlus, Abruzzo
abruzzo@wwf.it

Abilitazione caccia, proteste contro assessore Pepe: «vuole bloccare tutto»

Abilitazione caccia, proteste contro assessore Pepe: «vuole bloccare tutto»

Un ricorso al Tar non è bastato per far ripartire la commissione d’esame



TERAMO. L’Ufficio Caccia Regionale e l’assessore Dino Pepe vogliono impedire alla Commissione d’esame per il conseguimento dell’abilitazione all’esercizio venatorio, legittimamente costituita nella Provincia di Chieti, di funzionare.

Ne è convinto il presidente della Federazione Italiana Caccia Abruzzo, Ermano Conocchioli Morelli, che denuncia una serie di «illegittime ed inopportune decisioni» prese dall’assessore e dagli uffici tecnici.

Decisione che starebbero creando problemi a quanti voglio conseguire l’abilitazione.

La commissione d’esame è stata istituita a gennaio 2017 dalla giunta regionale ma Conocchioli Morelli contesta il fatto che ad un certo punto Pepe ed il dipartimento competente abbiano proposto la modifica della composizione della Commissione «prevedendo, in palese violazione del dettato normativo di riferimento, l’inserimento di Franco Perco quale membro effettivo (non più supplente come in principio)».

Sarebbe stato dunque ampliato, contesta la Federazione «in modo del tutto illegittimo, il numero dei componenti la Commissione». La modifica è stata poi approvata anche dalla giunta regionale a febbraio del 2018.

IL RICORSO AL TAR

L’Unione Nazionale Enalcaccia ha presentato ricorso al Tar chiedendo in via cautelare la sospensione dell’esecuzione del provvedimento.

Il tribunale amministrativo a maggio scorso ha sospeso l’efficacia della delibera e dunque la Federazione ha subito chiesto di ripristinare la vecchia commissione per consentire ai cittadini interessati, residenti nella provincia di Chieti, di sostenere l’esame per il conseguimento della licenza venatoria.

La Regione non è rimasta a guardare e Pepe ha chiesto ed ottenuto una delibera per rinnovare il procedimento di nomina della Commissione d’esame senza però revocare l’atto di costituzione. E’ stato anche stabilito che gli esami dei candidati teatini venissero effettuati dalla Commissione di Pescara, in trasferta a Chieti.

«L’illegittimità di tale deliberazione appare facilmente percepibile», contesta la Federazione Italiana Caccia. «E’ un malcelato escamotage per aggirare l’ordinanza cautelare del Tar. La Regione ha disposto la paralisi di ogni attività della Commissione già legittimamente costituita in Provincia di Chieti e la sua sostituzione con quella della Provincia di Pescara, con chiari disagi per i cacciatori del chietino».

Morelli fa notare che la Commissione d’esame di Chieti non è stata destituita e deve poter continuare ad operare nella sua composizione originaria. Da qui la richiesta di riportare tutto come era prima. La Federazione ha fatto anche una segnalazione alla procura di pescara, alla corte dei conti e pure al Tar.

Fonte: primadanoi.it del 20 luglio 2018

mercoledì 1 agosto 2018

Apertura stagione venatoria, Arci caccia Teramo: “Crescono le distanze dal mondo agricolo”

Apertura stagione venatoria, Arci caccia Teramo: “Crescono le distanze dal mondo agricolo”
 
In merito alla prossima apertura della stagione venatoria, il Presidente dell’ARCI Caccia di Teramo Massimo Sordini.

“Torna l’apertura ma, in Provincia, ai cacciatori si danno in pasto solo e sempre vecchie polemiche riciclate. La gestione della fauna selvatica da noi, sembra ritornata all’età della pietra. Parlano di caccia per assicurarsi di sopravvivere a se stessi e sfuggire al pensionamento per più che oltrepassati limiti di età di dirigenti di un tempo che fu.

La gestione degli ATC è sempre avvolta da “nebbie”, mentre crescono le distanze degli interessi del mondo agricolo. Non si investe in riproduzione naturale della piccola selvaggina, gli interessi buoni e talvolta meno buoni ruotano attorno al “cinghiale”, alla carne. C’è bisogno di cambiare, di avere politiche e tecnici che lavorino per produrre ambienti idonei alla riproduzione di selvaggina e per il governo dell’intero territorio agro-silvo-pastorale nell’equilibrio delle specie selvatiche.

Troppa ideologia, tanto fanatismo estremista si scarica sul calendario venatorio auspicando la propria foto su facebook. La moda prevale sulla conoscenza e sulla scientificità delle soluzioni tecniche. Piani faunistici operativi, lotta al bracconaggio, tutela della buona caccia, restano parole al vento da decenni.

Il rapporto con le nuove generazioni è sempre più difficile. Le Associazioni venatorie non trovano tra di loro la sintesi culturale perché il desiderio di qualcuno che ha sclerotizzato il suo pensiero: il grande che, per tirare a campare, vuole mangiare il piccolo (in realtà, il grande muore affamato).

L’ARCI Caccia confida nelle capacità dei cacciatori che vogliono la caccia sociale oggi e in futuro, sanno che possono ambire a riscattarsi nella Società e presso le future generazioni in barba a quanti sono “avanti Cristo nato” e pensano solo a se stessi. I cacciatori, ma anche i cittadini, hanno scoperto che il doppio estremismo, il fanatismo serve solo a sistemi di potere. Questi cominciano a scricchiolare, è tempo di demolirli”.
Fonte: cityrumors.it del 18 luglio 2018

sabato 14 luglio 2018

Gestione cinghiale. Il WWF: «Il problema è stato creato dal mondo venatorio: siano gli ATC a pagare»

Comunicato stampa del 14 luglio 2018


Gestione cinghiale, una sfida da affrontare insieme: le Aree Protette non sono una controparte

Il WWF: «Il problema è stato creato dal mondo venatorio: siano gli ATC a pagare»

L’attuale sistema di controllo della popolazione è fallimentare e va cambiato: non ha senso affidare la riparazione di un danno a chi ha determinato questo danno, come continua a fare la Regione


La recente proposta avanzata dalla Regione Abruzzo per attuare una filiera delle carni da cinghiale, attraverso l’utilizzo di gabbie di cattura e chiusini anche all’interno delle Aree Protette Regionali e Nazionali con l’obiettivo di prevenire e risolvere i problemi di danneggiamento causati alle coltivazioni agricole e alle attività antropiche sensibili ci obbliga a intervenire sull’argomento nel tentativo di fare un po’ di chiarezza su un argomento certamente complesso ma del quale si continua a parlare con una preoccupante approssimazione. 

Due sono i punti fermi da tenere in debito conto: il primo riguarda le responsabilità della attuale situazione e i relativi conti da pagare. Il problema cinghiali esiste perché, a partire dagli anni ’50 del secolo scorso e sino a pochi anni fa (vedi allegato 1 in calce al presente comunicato) ci sono state immissioni a scopo venatorio. I cinghiali si sono moltiplicati in Italia col solo scopo di consentire a una minoranza di cacciatori di divertirsi sparando e uccidendo. Ciò premesso appare evidente che chi ha creato il danno deve pagarne le conseguenze, anche in termini economici. Il risarcimento dei danni da cinghiale va di conseguenza attribuito interamente agli ATC, gli Ambiti Territoriali di Caccia. In questo modo sarebbe chi trae vantaggio dalla presenza di quella che agli occhi dei cacciatori è solo selvaggina a sopportare gli effetti collaterali negativi di immissioni praticate per decenni. In caso contrario, come avviene oggi, sarebbero gli stessi danneggiati a ripagare i propri danni attraverso le tasse, dirette e indirette, che gravano su tutti i cittadini onesti.

Il secondo punto da tenere ben fermo riguarda una constatazione sotto gli occhi di tutti: l’attuale sistema di controllo della popolazione dei cinghiali è risultato del tutto fallimentare visto che i danni non sono affatto diminuiti. Chi mai del resto affiderebbe la riparazione di un danno proprio a chi questo danno lo ha creato, come fa la Regione Abruzzo con i cacciatori?

È ora di cambiare radicalmente strategia, ma questo sarà possibile soltanto ragionando con criteri scientifici e non sulla spinta delle emozioni. La stessa proposta di filiera delle carni della Regione, avanzata senza un vero e proprio documento tecnico di indirizzo, rischia di diventare l’ennesimo elemento di perturbazione della popolazione del cinghiale allontanandoci dalla strada che si dovrebbe percorrere. È palese che a oggi la gestione faunistica della Regione Abruzzo presenta gravi criticità, a partire dai Piani redatti, da cui si evince chiaramente la mancanza di una solida strategia di intervento e la assoluta carenza di informazioni chiare e inserite in una banca dati unica sui capi abbattuti che potrebbe aiutare a verificare ed eventualmente correggere le azioni poco efficaci.

Tanti sono inoltre gli elementi di incertezza in merito all’effettiva assenza di nuove introduzioni e ai dati delle attività degli ATC in relazione alla caccia di selezione. Sarebbe, in particolare, di fondamentale importanza conoscere l’incidenza degli abbattimenti, ad esempio, sulla dieta del lupo, ma anche sugli habitat di interesse conservazionistico (Siti di Interesse Comunitario e Aree Protette).

Infine, ma non ultimo in ordine di importanza, si continua a presentare l’attività di controllo numerico del cinghiale come necessaria a rispondere all’impatto della specie sulle coltivazioni agricole, tuttavia risulta completamente assente il coinvolgimento delle categorie professionali agricole: la questione cinghiale non potrà mai essere risolta da un’azione isolata del mondo venatorio, ma piuttosto deve prevedere il coinvolgimento di coloro che maggiormente subiscono i danni della convivenza con questa specie, ovvero gli agricoltori. È dimostrato largamente che il solo prelievo venatorio è assolutamente insufficiente a tenere sotto controllo il cinghiale, per cui deve essere favorito il coinvolgimento degli agricoltori nell’ambito della multifunzionalità dell’impresa agricola attraverso interventi di prevenzione e riduzione dei danni e contenimento delle popolazioni attraverso la pratica delle catture, affidando loro direttamente le gabbie o chiusini di cattura e rifinanziando il bando PSR per le recinzioni elettrificate poiché sono state presentate domande per circa 4,5 M€ a fronte di una dotazione di soli 1,5 M€.

In questo contesto non bisogna mai dimenticare che le Aree Protette (AAPP) non sono una “controparte”, come erroneamente vengono spesso pensate, anche dalla Regione, ma bensì sono “parte” del sistema regionale che dovrebbe concorrere alla gestione del cinghiale nel rispetto dei ruoli e delle competenze che la legge attribuisce ai vari soggetti pubblici e privati.

La gestione del cinghiale è una sfida che si può vincere. C'è necessità però di cambiare approccio e di fare “gioco di squadra” tra i vari soggetti, che a diverso titolo hanno un ruolo attivo. Ognuno con le proprie competenze e responsabilità deve concorrere, nel rispetto della normativa e del lavoro di tutti, ponendo in essere azioni convergenti verso gli stessi obiettivi. Azioni che devono essere identificate e definite secondo una metodologia e con dati che permettano di verificare efficacia ed efficienza della programmazione e nel caso di scostamenti dagli obiettivi prefissati permettere di correggere il tiro senza sprecare risorse economiche o danneggiare la biodiversità.

Allegato 1

Brano tratto dalla introduzione alle “Linee guide per la gestione del cinghiale (Sus scrofa) nelle aree protette” di Silvano Toso e Luca Pedrotti edito nel 2001 tra i Quaderni di Conservazione della Natura a cura del Ministero dell’Ambiente Servizio Conservazione della Natura e dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica “Alessandro Ghigi” (oggi ISPRA).

«Le cause che hanno favorito l’espansione e la crescita delle popolazioni sono legate a molteplici fattori sulla cui importanza relativa le opinioni non sono univoche. Tra questi, le immissioni a scopo venatorio, iniziate dopo la metà del XX secolo, hanno sicuramente giocato un ruolo fondamentale. Effettuati dapprima con cinghiali importati dall’estero, in un secondo tempo i rilasci sono proseguiti soprattutto con soggetti prodotti in cattività in allevamenti nazionali. Tali attività di allevamento ed immissione sono state condotte in maniera non programmata e senza tener conto dei principi basilari della pianificazione faunistica e della profilassi sanitaria e, attualmente, il fenomeno sembra interessare costantemente nuove aree con immissioni più o meno abusive (come testimonia la comparsa della specie in alcune aree dell’arco alpino dove l’immigrazione spontanea sembra evidentemente da escludersi). Ancora oggi diverse Amministrazioni provinciali, soprattutto nella parte meridionale del Paese, acquistano direttamente cinghiali per il ripopolamento o autorizzano altri enti gestori (Ambiti territoriali di caccia, Aziende faunistico-venatorie, ecc.) a rilasciare regolarmente in natura animali prodotti in allevamenti».

WWF Italia Onlus, Abruzzo
abruzzo@wwf.it

domenica 25 marzo 2018

Sant’Eusanio del Sangro (Ch): selecontrollore denunciato per caccia abusiva

È stato denunciato per caccia abusiva un cacciatore di Sant’Eusanio del Sangro (Chieti), selecontrollore abilitato.

Gli agenti della Polizia provinciale di Chieti sono intervenuti in località Santa Lucia, su richiesta dei residenti allertati da colpi di arma da fuoco sparati nelle vicinanze delle case, alle 11.30 del mattino.

A casa del giovane, responsabile della caccia di selezione sul territorio per l’Atc, gli agenti della polizia provinciale hanno rinvenuto la carcassa dell’ungulato, un maschio adulto del peso di 120 kg, abbattuto con un fucile calibro 12 caricato a pallettoni, vietato per legge in quanto è consentito solo l’uso di carabine Bolt Action.

A seguito dei controlli è, inoltre, emerso che il selecontrollore non aveva registrato in bacheca l’uscita di caccia. Gli agenti della Polizia provinciale di Chieti gli hanno contestato anche altre irregolarità commesse dal cacciatore, in spregio al Disciplinare, che ora sono al vaglio dell’Autorità giudiziaria.
 

giovedì 8 febbraio 2018

In Abruzzo i risultati del censimento IWC 2018. Maggiori presenze nelle zone protette e comunque in quelle non disturbate dalla caccia

Comunicato stampa del 5 gennaio 2018 
 
 
Il coordinatore Carlo Artese rende noti i risultati del censimento IWC 2018

In Abruzzo oltre 19000 uccelli acquatici di ben 38 specie diverse

Maggiori presenze nelle zone protette e comunque in quelle non disturbate dalla caccia

Sono oltre diciannovemila gli uccelli acquatici, di ben 38 specie diverse, che hanno deciso di trascorrere l’inverno in Abruzzo. Li hanno contati uno a uno i 29 rilevatori che si sono sparsi lungo fiumi, laghi e coste della regione, armati di potenti binocoli, nel fine settimana tra il 13 e il 14 gennaio scorsi nell’ambito del censimento degli uccelli acquatici svernanti (IWC: International Waterfowl Census), coordinato in Italia da ISPRA, il braccio operativo scientifico del Ministero dell’Ambiente. Si tratta di una forma di monitoraggio a lungo termine lanciata a livello internazionale nel 1967 e che si effettua anche in Abruzzo ormai da quasi vent’anni. Il protocollo prevede un conteggio dettagliato, specie per specie, che si attua sempre nel mese di gennaio quando il movimento migratorio è minimo e gli uccelli svernano in massima parte in aree nelle quali è relativamente semplice osservarli. Il coordinatore IWC per l’Abruzzo è da diversi anni l’ornitologo Carlo Artese, la cui funzione è fondamentale per l’organizzazione del censimento. Perché questa attività abbia successo è importante infatti che si svolga in tempi ristretti e contemporaneamente per tutti i principali siti di presenza, che in Abruzzo sono ben 37 diffusi nell’intero territorio regionale. «Si tratta – spiega Artese - di una attività a base volontaria, con la partecipazione di oltre 30 appassionati ornitologi di Associazioni come il WWF con le sue Oasi e le sue Guardie ambientali, la Stazione Ornitologica Abruzzese, il gruppo Snowfinch dell'Aquila, personale delle Riserve Naturali Regionali e dei Parchi Nazionali… È interessante notare che da diversi anni il numero di specie rimane sostanzialmente stabile intorno alla quarantina ed è un numero importante».

I risultati censimento 2018 sono estremamente interessanti: come si accennava sono stati contati 19101 individui di 38 diverse specie. L’uccello con abitudini acquatiche maggiormente presente in Abruzzo è la Folaga: ne sono state censite ben 5589. Segue a ruota il Moriglione, a quota 4291. Interessante la presenza di specie di cui è stato osservato un solo individuo: Nitticora, Marzaiola, Corriere piccolo, Gabbiano reale pontico, Piro piro piccolo e Albanella reale; del Marrangone minore (2) e di Zafferano comune, Canapiglia e Garzetta (4).

In termini assoluti il sito umido più ricco di uccelli è il lago di Campotosto, Riserva Naturale Statale di ripopolamento animale dei Carabinieri Forestali all'interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Qui sono stati censiti ben 10768 individui, ma c’era da attenderselo viste le dimensioni dell’invaso. La maggiore ricchezza di specie la vanta invece l’oasi WWF del Lago di Serranella, a quota 18, seguita a ruota proprio da Campotosto (17), da vari punti del litorale (tra 15 e 9) e dalle Sorgenti del Pescara (10). «Un dato – chiarisce Carlo Artese - semplice da interpretare: le specie sono più numerose e il numero degli individui è maggiore là dove non sono in azione le doppiette: le aree protette e la fascia costiera, lungo la quale è anche l’intensa presenza antropica a impedire la caccia. Al contrario in tutte le aree di media collina l’attività venatoria è intensa e rappresenta un formidabile deterrente per la presenza di avifauna».

Nelle prossime settimane Artese e gli altri volontari illustreranno i risultati del censimento in incontri che saranno organizzati presso Oasi e Riserve sparse nel territorio regionale mentre è in corso una elaborazione più accurata dei dati per valutare l’andamento dei censimenti nel corso degli anni. Potranno venirne fuori risultati interessanti. «L’Abruzzo – conclude Artese – ha un ruolo significativo nel programma IWC, inserendosi in una analisi prima a livello nazionale con l’ISPRA e poi a livello internazionale. Avere un quadro sulla variazione nel tempo delle presenze può essere in ogni caso estremamente importante anche a livello regionale, per la salvaguardia dell’avifauna e per una seria programmazione nella gestione delle sempre più minacciate zone umide e costiere».

WWF Italia Onlus, Abruzzo
abruzzo@wwf.it

sabato 3 febbraio 2018

Abruzzo – Il TAR dà ragione alle associazioni animaliste

ABRUZZO – IL TAR DÀ RAGIONE ALLE ASSOCIAZIONI

Enpa, LAV e LNDC ricorrono contro l’abbattimento cosiddetto selettivo delle volpi nella Provincia di Teramo. Il TAR conferma la possibile illegittimità di un articolo della Legge Regionale che consente ai cacciatori di occuparsi del controllo delle popolazioni selvatiche e rimanda la questione alla Corte Costituzionale.

Nel mese di marzo 2016 la Provincia di Teramo varò un piano di controllo triennale delle popolazioni delle volpi. Secondo quanto affermato dall’Ente, tale misura si rendeva necessaria per “ridurre l’entità dei danni arrecati alle altre specie di fauna, agli animali domestici e all’uomo e al fine di porre in essere un intervento a tutela della biodiversità”. L’esigenza, sempre secondo l’Ente, era stata sollevata dalle “molteplici sollecitazioni del mondo agricolo e venatorio per la predazione della piccola selvaggina e alle esigenze di riequilibrio delle alterazioni della flora e della fauna selvatica”. Infine, in base all’art. 44 della Legge Regionale 10/04, tale piano di abbattimento cosiddetto selettivo poteva essere realizzato direttamente dai cacciatori.

Enpa, LAV e LNDC, le principali Associazioni di protezione animali in Italia, non potevano certo restare a guardare e presentarono un ricorso al TAR de L’Aquila per sospendere il provvedimento e contestarne la legittimità. In particolare, tramite il lavoro degli avvocati Michele Pezone e Valentina Stefutti, le Associazioni hanno contestato la costituzionalità proprio dell’art. 44 della LR 10/04. La Legge Quadro 157/92, infatti, prevede che l’abbattimento selettivo possa essere realizzato solo da guardie venatorie, che possono avvalersi anche di proprietari dei fondi muniti di licenza di caccia, oltre a guardie forestali e guardie comunali. La Legge Regionale abruzzese, invece, allarga arbitrariamente tale facoltà ai cacciatori tout court, basta che siano nominati dall’Ente.

Finalmente, dopo due anni dalla presentazione del ricorso, il TAR de L’Aquila ha dato ragione a Enpa, LAV e LNDC, riconoscendo la dubbia legittimità di quella parte della Legge Regionale e rimandando la questione alla Corte Costituzionale. “Siamo molto soddisfatti di questa decisione del TAR”, affermano le associazioni. “Quella venatoria è una lobby abituata a ricevere trattamenti di favore da una parte del mondo politico, che spesso adotta provvedimenti palesemente illegittimi e in contrasto con le norme nazionali pur di accontentare i cacciatori, nel tentativo di racimolare consensi” . Portare la legge Regionale sulla caccia al giudizio della Corte Costituzionale, rappresenta un atto concreto di contenimento delle pretese dei cacciatori che pensano di poter avere il diritto di decidere della vita e della morte degli animali selvatici che, è bene ricordarlo, secondo la legge sono patrimonio indisponibile dello Stato e pertanto appartengono a tutti noi”.

02 febbraio 2018

ENPA – www.enpa.it
LAV – www.lav.it
LNDC ANIMAL PROTECTION – www.legadelcane.org

mercoledì 17 gennaio 2018

Pallini da caccia contro un’abitazione, spavento a Tornareccio

TORNARECCIO. Pallini da caccia sono finiti contro un’abitazione, spaventando il proprietario che ha chiesto l’intervento dei carabinieri. L’episodio, curioso, è avvenuto ieri, in tarda mattinata, in località San Giovanni, a Tornareccio. Una zona prevalentemente boschiva, frequentata solitamente dai cacciatori. I pallini di piombo, molto piccoli, usati per la caccia ai piccoli volatili, vengono sparati in aria e, solitamente, ricadono in mezzo alla vegetazione. Ieri, invece, è probabile che alcuni cacciatori si fossero avvicinati troppo alle abitazioni. Alcuni pallini sono finiti contro il tetto dell’abitazione, mentre l’uomo era in giardino. Spaventato si è buttato a terra e poi ha chiamato i carabinieri denunciando l’episodio. Una volta sul posto la pattuglia non è riuscita, però, ad individuare gli incauti cacciatori.

giovedì 14 dicembre 2017

Pessolano (Arcicaccia): per ridurre davvero i cinghiali la braccata è inutile

Arci Caccia: niente fantasie! La caccia al cinghiale si fa in braccata. Ma il Parlamento aveva detto il contrario 

La caccia al cinghiale con la tecnica della braccata – mute di cani e “poste di cacciatori – è sotto accusa  sia per le vittime umane che provoca che per l’inefficacia dimostrata, visto che il numero dei cinghiali non fa altro che aumentare e che le loro popolazioni si sono ormai diffuse sull’intero territorio italiano grazie a scriteriate campagne di immissione di animali provenienti dal nord Europa e spesso ibridati con i maiali domestici per renderli ancora più prolifici.
Un tipo di caccia che sembra sempre più insostenibile e nel mondo venatorio hanno fatto molto scalpore  le dichiarazioni  del presidente provinciale dell’Arci Cacca di Chieti, Angelo Pessolano, secondo il quale l’emergenza cinghiali è provocata proprio da questo approccio venatorio sbagliato, Come dimostrano anche studi recenti  a un maggior numero di abbattimenti (e di densità venatoria) corrisponde in realtà una  maggiore attività riproduttiva delle femmine, soprattutto dove viene esercitata la braccata e Pessolano ha preso semplicemente atto che «quest’ultima non permette di selezionare in modo adeguato i capi che devono essere abbattuti». Per il presidente dell’Arci Caccia di Chieti l’unica soluzione giusta sarebbe quella di abbattere esclusivamente gli esemplari piccoli e i “rossi”, cioè i giovani porcastri, cosa impossibile con  la braccata. E il presidente dell’Arci Caccia chietina ha sottolineato che questa ipotesi viene fatta da tecnici e scienziati che si occupano del cinghiale come specie, «oltre a trattarsi di un elemento basilare di una buona gestione faunistico-venatoria» e aggiunge che «La caccia in braccata consente di uccidere i selvatici, ma non di ridurre il loro numero. Al suo posto dovrebbe invece essere introdotto un prelievo venatorio selettivo in grado di controllare la specie dal punto di vista scientifico».
Una presa di posizione basata sulla scienza e il buonsenso che però a sollevato le ira delle altre associazioni venatorie e anche di cacciatori dell’Arci Caccia, tanto che è dovuto intervenire il presidente nazionale dell’Arci Caccia Sergio Sorrentino  che c in una nota ufficiale sottolinea. «La posizione dell’Arci Caccia sulla caccia al cinghiale è una ed una sola. Quella che abbiamo affermato nei documenti e con forza in mille occasioni: La caccia al cinghiale si fa in braccata!!! La forma di caccia a cui sono legate le nostre tradizioni e che è l’unica in grado di garantire con più efficacia quel controllo della consistenza della specie, indispensabile per la tutela dell’agricoltura. Tutte le altre forme sono solo in grado di tamponare qualche emergenza momentanea o qualche situazione in cui non si può intervenire in altro modo o organizzare in tempo reale la braccata».ù
Le dichiarazioni di Pessolano, vengono “disinnescate” così: «L’articolo uscito sulla stampa, tra l’altro, pone l’accento su alcune frasi espresse in un contesto ben più generale e ampio; tutte da verificare. La nostra posizione è chiarissima e l’abbiamo ribadita reiteratamente, l’ultima volta non più tardi di venerdì scorso al convegno organizzato nella giornata di apertura della Fiera Caccia&Country di Forlì (che sarà visibile a breve e in formato integrale su www.agrilinea.tv). La caccia al cinghiale – cultura da trasferire alle nuove generazioni –  per Arci Caccia è quella della braccata con l’utilizzo dei cani da seguita. E questa è la posizione dell’associazione, valida dalle Alpi alla Sicilia e quindi anche in Abruzzo.  La selezione è altro, è un intervento mirato straordinario dove la braccata non riesce a intervenire, come è noto ai cacciatori, alle squadre».
Il comunicato si conclude con un richiamo all’ordine e al rispetto della gerarchia associativa venatoria: «La posizione dell’Arci  Caccia è frutto di processi democratici partecipati, di centinaia di Assemblee, di Congressi. La caccia al cinghiale è patrimonio unitario, insieme a tutte le altre forme di caccia, della migliore cultura rurale del nostro Paese, oggi e domani. Il Presidente dell’ARCI Caccia dell’Abruzzo, Massimiliano Di Luca, conferma di essere sulla stessa “lunghezza d’onda” del Presidente Sorrentino. Qualche volta si leggono tempeste in un bicchiere d’acqua….».
A dire il vero il bicchiere è molto grande e agitato  visto che in realtà quel che dice Pessolano è così noto da essere stato addirittura approvato da una risoluzione in Commissione agricoltura presentata da Susanna Cenni (PD) il 29 ottobre 2024, alla quale hanno contribuito numerosi esponenti del PD e del Movimento 5 Stelle e nella quale si legge: « in particolare, a differenza di quanto si sia erroneamente ritenuto fino ad oggi, l’ordinaria attività venatoria, così come viene organizzata e gestita in Italia, non rappresenta una forma di controllo delle popolazioni di cinghiale, tantomeno può rappresentarlo un’estensione del periodo di prelievo (deregulation dei calendari venatori) o la concessione del prelievo in aree altrimenti protette. Altresì, l’attività venatoria ha determinato negli anni una destrutturazione della piramide delle classi di età, agevolando la riproduzione degli esemplari più giovani, abbattendo i capi adulti con più di due anni di età».
Che poi il governo abbia ignorato queste indicazioni e che regioni come la Toscana siano andate (senza grande successo) in direzione opposta a quella indicata dalla Commissione agricoltura questo è un problema che riguarda la coerenza politica e istituzionale…
D’altronde anche  l’atto di intesa tra le sezioni regionali abruzzesi delle associazioni venatorie Arci Caccia, Eps, Liberacaccia  stipulato l’11 novembre ammette al punto 4 che qualche problema c’è:  «la gestione della specie cinghiale non appare in alcun modo adeguatamente affrontata secondo scelte di pianificazione e regolamentazione del prelievo non perfettamente operative sul territorio, nemmeno adeguatamente calate sulle diverse realtà usuali di prelievo e che, comunque, al cospetto della burocratizzazione operata, appaiono solo dei palliativi non in grado di corrispondere il necessario sistema adeguato d’intervento»

mercoledì 13 dicembre 2017

Atri, stop alla caccia al cinghiale. Il WWF: “Decisione giusta”

“La decisione del Sindaco di Atri di vietare ogni forma di attività venatoria di controllo della specie cinghiale nel territorio comunale dal tramonto sino ad un’ora prima del sorgere del sole sia un atto dovuto di assoluto buon senso che, per la salvaguardia dell’incolumità di tutti, anche gli altri sindaci dovrebbero adottare”. A dirlo è il WWF Teramo, in merito all’ordinanza firmata lo scorso 6 dicembre dal primo cittadino di Atri che ha fatto insorgere anche alcuni cacciatori, come segnalato da Cityrumors.

“L’errore è stato commesso dalla Regione Abruzzo che, con il Piano di controllo approvato dalla Giunta Regionale, sta consentendo la caccia anche nelle ore serali al buio – prosegue il WWF – Nel territorio di Atri, esattamente come avviene negli altri comuni abruzzesi, si procede a battute di caccia nelle ore serali, anche in assenza di luci e spesso con inseguimenti di cinghiali a bordo di fuoristrada in aree adiacenti ad abitazioni e insediamenti privati. I controlli sono ormai quasi del tutto assenti e la caccia alla cinghiale è praticamente consentita sempre e comunque. Con la scusa del contenimento del numero dei cinghiali, i cacciatori sono diventati i padroni assoluti del territorio. Proprio loro che con le liberazioni di cinghiali effettuate negli anni passati a scopo venatorio sono gli unici responsabili, insieme agli amministratori regionali e provinciali del tempo che le consentiranno, del sovrannumero della specie e di conseguenza dei danni ai coltivi. Sono tanti i cittadini che segnalano situazioni di pericolo in cui vengono a trovarsi a causa della continua presenza di cacciatori nei pressi delle abitazioni”.

E concludono: “Il problema dei danni da cinghiali non verrà mai risolto fino a quando si continuerà ad affidare ai cacciatori la ricerca della soluzione. È paradossale che coloro che hanno determinato il problema vengano premiati con la scusa di doverlo risolverlo. Senza considerare che la categoria che ha meno interesse a ridurre il numero dei cinghiali è proprio quella dei cacciatori che certo non vuole rinunciare al divertimento di poter sparare tutto l’anno, né tantomeno alle cospicue entrate in nero che provengono dalla vendita non regolamentata della carne dei cinghiali uccisi”.
 

mercoledì 6 dicembre 2017

L’assedio dei cinghiali: caos, danni e spese ingenti per non risolvere il problema

Quando il Parco spendeva 1.400 per abbattere ogni cinghiale (più gli indennizzi)

ABRUZZO. I cinghiali nei parchi d’Abruzzo: per ridurre la popolazione si è deciso di usare le gabbie per poi abbatterli e portarli al macello.


Un modo per arginare la presenza massiccia degli animali selvatici, che spesso si spingono sulle strade e nei centri abitati, creando anche parecchi danni alle imprese agricole del territorio. Non rarissimi anche gli investimenti in incidenti stradali.

Del caso che sta investendo il Parco della Majella si è occupato anche la trasmissione ‘Indovina chi viene dopo cena’, spin off della trasmissione Report, su Rai 3.

Come ha spiegato Simone Angelucci, veterinario dell’Ente, il cinghiale è stato introdotto sul territorio, a scopo venatorio, negli anni 60 e anni 70. Prima, praticamente, non c’erano.

In pratica per accontentare i cacciatori si sono spesi soldi per riportare i cinghiali e oggi se ne spendono altri per contenerli.

«Dove ci sono i predatori questa proliferazione viene contenuta», ha spiegato Angelucci. «Grazie alla presenza di lupi qui c’è una situazione di equilibrio: 100 lupi per 750 chilometri quadrati organizzati in una decina di branchi che esercitano pressione predatoria importante».

Quello che accade nel Parco del Gran Sasso, invece, è perfettamente ricostruito in una relazione tecnica di Federico Striglioni che PrimaDaNoi.it ha letto integralmente.

Nella relazione si analizza come negli anni si sia tentato di risolvere il problema, con le Province che hanno investito notevoli risorse per corsi di formazione per l'abilitazione alla caccia di selezione ma in realtà non c'è stata nessuna modifica sostanziale.


UNA MAREA DI SOLDI

E si sono spesi una marea di soldi: nel 2003 e 2004 sono state effettuate 12 ‘girate’ di controllo sperimentali (tecniche di caccia) e sono stati abbattuti complessivamente 54 cinghiali ovvero 4,5 capi per ogni girata. Sono stati esplosi 100 proiettili per abbattere 33 cinghiali.

«Dunque per eliminare gli oltre 8.000 cinghiali catturati tramite recinti nel periodo 1999-2015», analizza Striglioni, «si è calcolato che si sarebbero dovuti esplodere più di 24.000 colpi di arma da fuoco».

Decisamente troppi, come troppi sono i rischi per il disturbo dell'ambiente e di eventuali incidenti per i frequentatori delle aree protette.

È andata decisamente peggio pure con l'abbattimento selettivo con carabina da appostamento fisso, una tecnica che è stata sperimentata nel Parco nell'estate del 2006 per 73 giornate.

«C'è stato un ingente dispendio di risorse umane ed economiche e risultati deludenti», si legge nella relazione tecnica: appena 63 cinghiali abbattuti per un costo imputato all'ente parco di 1400 euro per ogni animale ucciso.

Poi si è arrivati alla scelta di utilizzare le gabbie-trappole di cattura che al momento sembrano essere il sistema più favorevole nel rapporto costi-benefici, con i minori impatti sugli ecosistemi del parco e per l'assenza di ogni rischio per l'incolumità pubblica.

In pratica le gabbie vengono sistemate tra la vegetazione, munite di un sofisticato congegno di scatto con chiusura a ghigliottina, innescato dal movimento del cinghiale catturato. Nella gabbia viene posizionata un’esca costituita da ortaggi e frutta ma anche mais per attirare l’animale che, in verità, ben si adatta a qualsiasi tipo di cibo.



SALVAGUARDARE GLI ANIMALI DEL PARCO

Il Parco del Gran Sasso ha puntato su questa soluzione anche calcolando che eventuali errori o incidenti legati all'utilizzo di armi da fuoco in territorio protetto avrebbero potuto avere conseguenze inaccettabili per l'Ente, ad esempio l'uccisione di un orso o il coinvolgimento di persone che potevano venire accidentalmente colpite.

«Anche perché c'è da considerare», analizza il tecnico nella relazione, «che le carabine utilizzate per gli abbattimenti selettivi hanno una gittata che può arrivare anche ad una distanza di 4 km e quindi avere conseguenze assolutamente imprevedibili».

I rischi di errore vengono ritenuti alti anche perché le operazioni vengono effettuate al crepuscolo in condizioni di luce non ottimale .

Per l'abbattimento con la carabina, secondo i rilievi dei tecnici, non ci sono zone del Parco sicure che offrono garanzie per l'incolumità pubblica e anche periti balistici confermarono la impossibilità di certificare la sicurezza dei siti di sparo.

«Nel 2006», è annotato nella relazione tecnica, «non sono mancati i problemi quando i selecontrollori non rimanevano fermi nei siti di sparo loro assegnati ma si spostavano in punti che giudicavano più idonei per seguire i cinghiali. In un caso si vede anche un selecontrollore che si sposta ed esplode 6 colpi di carabina senza colpire nessun cinghiale in direzione della strada statale salaria. Era una sera di luglio c'era ancora luce e la statale era trafficata».

La tecnica da sparo non piace ormai da 15 anni ai vari consigli direttivi, direttori, presidenti e commissari che si sono avvicendati alla guida dell'ente e che si sono occupati del problema.



I DANNI AL PATRIMONIO

Sta di fatto che la presenza del cinghiale crea danni al patrimonio agricolo: il picco si è registrato nel 2011 con oltre 725 mila euro di indennizzi, poco meno l'anno successivo con 647 mila euro.
Anni da dimenticare anche il 2007 e il 2010.
Nel 2015, ultimo anno disponibile nella relazione tecnica, si è arrivati a 578 mila euro.
Ma la distribuzione dei danni non riguarda soltanto il territorio del parco ma anche la zona fuori dal perimetro dell'area protetta, ai confini con l’Ente.
Si calcola che il fenomeno riguardi anche e fasce collinari attigue alle aste fluviali e si spinge fino ad oltre 30 km dal confine dell'area protetta.

Nel corso delle ultime riunioni del Parco che ha affrontato la questione il vicepresidente ha evidenziato che il problema esiste e le gabbie di cattura «non bastano, bisogna trovare strade alternative».

Secondo Stefano Allavena, però, il problema esiste ma la situazione all'interno è migliore di quella fuori anche perché nell'area protetta ci sono in funzione recinti di cattura «molto efficienti» e si stima il prelievo di «centinaia di esemplari ogni anno». La caccia come metodo di controllo, proprio secondo Allavena, è da evitare in quanto il Parco è intensamente frequentato da escursionisti, ricercatori di funghi e tartufi ma anche fotografi. E c’è pure il rischio che i selecontrollori possono uccidere i cervi, caprioli, lupi, orsi di passaggio oltre a disturbare la fauna.
Un danno troppo grande.
Insoddisfatti da tempo, ormai, gli imprenditori del settore agricolo che vorrebbero essere maggiormente tutelati.


«MANCA IL BREVETTO DELLE GABBIE»

Come Dino Rossi del Cospa: «il Parco si è impuntato sull’utilizzo delle gabbie di cattura su indicazioni di Federico Striglioni, Project manager del progetto Life, gabbie non a norma e non brevettate, tanto da subire modifiche in corso d’opera a seconda dei danni provocati alla fauna durante la cattura, senza tenere conto della sicurezza dell’operatore al quale viene affidata l’attrezzatura per la cattura degli animali selvatici. Ancora oggi, dopo anni di utilizzo di questi metodi, oltre che a risultare inefficaci sono privi di brevetto. Ormai nelle aree parco», continua Rossi, «è praticamente impossibile coltivare come gli anni passati rimasto un ricordo per le persone più anziane. Una volta la selezione delle sementi venivano fatte in alta montagna, i contadini si scambiavano i raccolti, oggi sono costretti a rivolgersi alla multinazionale Monsanto (la più grande rivenditrice di sementi agricole al mondo, ndr), determinando la scomparsa di molte varietà di cereali e legumi autoctoni».

Alessandra Lotti

lunedì 6 novembre 2017

Acciano (Aq): cervo e capriolo scuoiati. Pubblicati i nomi dei tre cacciatori scoperti dai Carabinieri.

L’AQUILA - La procura della Repubblica di Sulmona (L’Aquila) ha iscritto sul registro degli indagati Carmine Santilli, (classe '79) Antonio Cercarelli, (classe '67), e Diego Pace, (classe '79), tutti e tre di Acciano (L’Aquila), nell’ambito dell’inchiesta scattata dopo il blitz dei carabinieri della stazione di Castelvecchio Subequo (L'Aquila) della Compagnia di Sulmona che qualche giorno hanno individuato in un locale un cervo e un capriolo appena cacciati e scuoiati dai bracconieri all’interno di un locale.

Le ipotesi di reato contestate sono di esercizio di caccia di specie protette e detenzione di animali selvatici appartenenti a specie protette.

Le indagini dei carabinieri, comunque, continuano per verificare se possano emergere altre responsabilità e soprattutto se, come sospettano fonti investigative, l’episodio faccia parte di un fenomeno preoccupante sul territorio.

Dai primi accertamenti dei militari è emerso che tutto fosse riconducibile ai tre soggetti che avevano ucciso le prede all’imbrunire, trasportandole poi nel garage per prepararle alla macellazione.

Con l’ausilio di personale del servizio veterinario della Asl dell’Aquila, i carabinieri hanno proceduto al sequestro delle carcasse, poi trasferite presso l’Istituto zooprofilattico di Avezzano (L’Aquila) per le analisi e il successivo smaltimento, e a denunciare i tre cacciatori.

Sequestrato anche il fucile utilizzato per la caccia di frodo con le munizioni e sofisticati congegni di mira mentre, in via cautelare, ai cacciatori sono state ritirate tutte le altre armi legalmente detenute per le successive valutazioni delle autorità sulla sospensione o revoca delle licenze rilasciate.

Fonte: abruzzoweb.it del 06 novembre 2017

giovedì 2 novembre 2017

Acciano (Aq). Beccati mentre scuoiano un cervo e un capriolo. Ad un cacciatore dei 3 sono ritirate tutte le altre armi legalmente detenute.



Acciano (Aq). Nella serata di ieri hanno trovato, in un locale, un cervo ed un capriolo appena cacciati e scuoiati.

Tre le persone sospetrate che avrebbero ucciso le prede all’imbrunire, trasportandole poi nel garage preparandole per la macellazione. Sul posto sono stati rinvenuti i 2 animali di specie protetta appesi, scuoiati, privi del capo e gli arnesi utilizzati per ammazzarli. I Carabinieri, con l’ausilio del personale veterinario della Asl, hanno sequestrato le carcasse per il trasferimento presso l’istituto zooprofilattico di Avezzano (Aq), per le analisi e lo smaltimento. Sotto sequestro anche il fucile forse utilizzato per la caccia di frodo con munizionamento e congegni di mira sofisticati. Cautelativamente ad un cacciatore dei 3 sono ritirate tutte le altre armi legalmente detenute per le successive valutazioni in merito alla sospensione o revoca delle licenze rilasciate. I tre uomini sono deferiti, in stato di libertà, alla procura della Repubblica di Sulmona per caccia di fauna selvatica protetta.


Fonte: report-age.com del 02 novembre 2017

giovedì 19 ottobre 2017

L'Aquila, assalito dal cinghiale a cui aveva sparato: grave cacciatore