sabato 22 giugno 2013

Il TAR Abruzzo annulla parte del calendario venatorio abruzzese 2009/10, sconfitta (nuovamente!) l'amministrazione regionale

Il Tribunale Amministrativo Regionale dell'Abruzzo, con sentenza n. 606 depositata il 21 gennaio 2013, ha riconosciuto valide la gran parte delle argomentazioni del ricorso proposto dalle associazioni Lega Abolizione Caccia e Animalisti Italiano onlus, contro il calendario venatorio regionale abruzzese per la stagione 2009/10.


La sentenza contiene un'ampia disamina sull'inottemperanza da parte della Regione del parere consultivo reso dall' ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale) , quando non si tenne conto dei suggerimenti in merito ai periodi di caccia per starna, lepre fagiano , ritenuti troppo dilatati in assenza di dati scientifici da parte della stessa amministrazione regionale. Le censure riguardano anche la caccia vagante con uso del cane nel mese di gennaio.



Di seguito la sentenza integrale:




N. 00606/2013 REG.PROV.COLL.


N. 00330/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 330 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Animalisti Italiani Onlus, Lega Per L'Abolizione della Caccia Onlus, rappresentati e difesi dall'avv. Michele Pezone, con domicilio eletto presso Vittorio Avv. Isidori in L'Aquila, via Avezzano, 11;

contro

Regione Abruzzo, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura, domiciliata in L'Aquila, Complesso Monumentale S. Domenico;

per l'annullamento

DELLA DELIBERAZIONE N. 416 CON CUI E' STATO APPROVATO IL CALENDARIO VENATORIO 2009/2010; nonché della determinazione DH8 n.35 del Dirigente del servizio economia ittica e programmazione venatoria in data 11.11.2009 in parte qua..


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Abruzzo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2013 il dott. Paolo Passoni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Le associazioni Animalisti Italiani Onlus e Lega per l’Abolizione della caccia hanno impugnato con gravame introduttivo la DGR 416/09, con cui la Regione Abruzzo ha approvato il calendario venatorio per la stagione 2009/2010.

Con la prima doglianza, si deduce che la Regione avrebbe programmato l’attività venatoria in mancanza del necessario monitoraggio delle specie. Inoltre, sarebbe mancata adeguata motivazione per le decisioni prese in difformità dal parere dell’Ispra, e ciò con particolare riguardo:

- alle specie stanziali (lagomorfi e Fasianidi), per le quali il predetto istituto suggeriva la posticipazione dell’apertura della stagione venatoria all’inizio di ottobre, mentre la Regione ha anticipato tale apertura al 20 settembre;

-al fagiano, per il quale si consigliava il termine della caccia ai primi di dicembre, laddove il calendario ha invece previsto la data del 31 dicembre 2009;

-alla starna, per la quale l’Ispra aveva ritenuto non sussistere le condizioni di cacciabilità, mentre la Regione ha consentito per questo galliforme la caccia dal 20 settembre al 31 dicembre;

-alla lepre comune, la cui caccia veniva considerata dall’Ispra particolarmente insidiosa per il rischio di confusione con la lepre italica (specie altamente protetta), così da rendersi necessaria una cognizione sull’esatta distribuzione delle due specie di lepre sul territorio, fissando comunque una stagione di caccia in un arco temporale massimo compreso tra il 15 ottobre ed il 30 novembre. La Regione avrebbe invece disatteso in radice questi motivati suggerimenti, consentendo in modo indiscriminato la caccia alla lepre dal 20 settembre 2009 al 20 dicembre 2009;

-alla caccia vagante , che –soprattutto con l’ausilio del cane- secondo l’Ispra avrebbe dovuto terminare non oltre il mese di dicembre , mentre la Regione l’ha autorizzata fino a tutto gennaio 2010.

Con la seconda doglianza si lamenta infine la violazione del comma 7 dell’articolo 18 della citata legge 157/92, per aver la Pa intimata consentito orari di caccia giornalieri superiori a quelli massimi consentiti dalla citata normativa (un’ora prima del sorgere del sole sino al tramonto e, per gli ungulati, anche un’ora dopo quando sia fatta secondo un metodo selettivo).

Nel corso della camera di consiglio del 14.10.2009 è stata accolta l’istanza cautelare, per la probabile fondatezza della “censura di difetto di motivazione della delibera impugnata, nella parte in cui quest’ultima non ha dato adeguata contezza delle ragioni del dissenso rispetto alle concludenze consultive dell’Istituto Superiore di Ricerca Ambientale (ordinanza Tar Abruzzo –AQ- n. 200 del 15.10.2009).

A seguito di tale ordinanza, il dirigente del Servizio Economia Ittica della Regione Abruzzo, con determinazione n. 29 del 16.10.2009 ha assunto iniziative inibitorie verso la caccia alla starna, rimettendo per il resto alla giunta regionale il compito di conformarsi alla predetta ordinanza, previa indicazione delle parti del calendario da adeguare al parere Ispra.

Le associazioni ricorrenti hanno peraltro contestato la possibilità di mantenere in vita (mediante modifiche) un calendario venatorio ritenuto invece in radice inapplicabile, alla luce della rilevata carenza di un monitoraggio scientifico delle specie cacciabili. Pertanto, dopo una vana diffida in data 21.10.09, sono stati proposti in data 2.11.09 i (primi) motivi aggiunti per l’annullamento della citata determina dirigenziale del 16.10.09.

In data 11.11.09, il Dirigente del Servizio Economia Ittica e Programmazione Venatoria della Regione Abruzzo ha poi emanato la determina DH8 n. 35, con la quale, in parziale riforma del calendario Venatorio Regionale 2009/2010, ha disposto:

-la sospensione in via definitiva della caccia alla starna;

-il termine del prelievo venatorio della lepre comune fissato al 30.11.09, ferma restando la prescrizione già contenuta nel calendario venatorio in ordine al divieto di cacciabilità di detta specie, nelle aree ove vi fosse prova scientifica di sovrapposizione di popolazione di lepre italica;

-il termine del prelievo venatorio del fagiano fissato al 6.12.09;

-la possibilità di cacciare con il cane fino al 31.12.09, con eccezione delle aziende faunistico venatorie, delle aziende agri-turistico-venatorie e della caccia al cinghiale e alla volpe in squadre autorizzate, con conferma in questi casi del preesistente termine del 31.1.10.

Inoltre, con delibera regionale n. 515/09, è stato consentito (fra l’altro e per quanto qui interessa) l’uso del piccione di allevamento come richiamo vivo nella caccia da appostamento al colombaccio (art. 3 bis).

Avverso i due citati provvedimenti è stato proposto un secondo gruppo di motivi aggiunti, notificato il 18.11.0.

Quanto alla determina n. 35 dell’11.11.09, è stato dedotto in primis un vizio di incompetenza, per aver il dirigente deliberato in materia riservata alla giunta regionale, in violazione dell’art. 49 dello Statuto sull’esercizio delle funzioni giuntali (come quelle sul calendario venatorio). In realtà il dirigente aveva trasmesso gli atti al predetto Organo collegiale, il quale tuttavia (tramite il componente preposto alla Caccia, con nota del 10.11.09) ha ritenuto di non deliberare in materia, sul rilievo che si trattasse “del mero recepimento di un atto giurisdizionale, riservato alla titolarità del dirigente”. Le rimanenti doglianze ribadiscono quanto già dedotto nei precedenti motivi aggiunti, in ordine al fatto che la Regione non avrebbe potuto in radice consentire prelievi venatori (meno che mai per quanto riguarda la lepre comune-europea, che ha lo stesso habitat della protetta specie italica), in difetto del necessario monitoraggio di ogni specie cacciabile.

Viene poi censurata la possibilità di usare il piccione di allevamento come richiamo vivo nella caccia da appostamento al colombaccio (art. 3 bis delibera 515/09), perché in contrasto con la legge 157/92, che consentirebbe l’uso di uccelli allevati solo se appartenenti a specie cacciabili, previo parere dell’ISPRA (circostanze che sarebbero entrambe estranee al caso di specie).

Quanto alla chiesta misura cautelare in ordine ai proposti motivi aggiunti, il tar ha respinto la domanda, allegando l’irriducibilità delle relative questioni ad un vaglio di sommaria delibazione (ord. 251/09 del 3.12.09, confermata in appello con ord. 471/10 del 28.1.2010).

Si è costituita in giudizio la Regione Abruzzo, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di L’Aquila, che ha controdedotto con memoria, mentre alla pubblica udienza del 22.5.13 la causa è stata riservata a sentenza.



DIRITTO

Va in primo luogo precisato che sussiste l’interesse alla presente decisione, anche se l’impugnativa riguarda (almeno in prevalenza) il calendario venatorio per un periodo ormai trascorso (2009-2010); ciò in quanto –trattandosi di provvedimenti annuali che regolano la caccia sul territorio- le normae agendi della sentenza possono ancora rivestire concrete utilità, ai fini della predisposizione dei prossimi calendari (sul punto, funditus, questo tar n. 440/12; cfr. anche Tar Lombardia -MI- 533/2010).

Risulta inoltre pacifica e non controversa la legittimazione attiva dei ricorrenti, enti associativi radicati sul Territorio Nazionale, statutariamente esponenziali di interessi di tutela ambientale e protezionistica.

Mediante ricorso introduttivo, il predetto calendario 2009/2010 viene censurato:

-per la mancanza di un presupposto monitoraggio scientifico della fauna selvatica (con conseguente violazione dell’articolo 13 della LR 10/04 che prevede una verifica annuale dei programmi faunistico venatori provinciali, sulla base dei quali l’art. 26 consente l’esercizio della caccia programmata);

-per aver la Regione disatteso le indicazioni dell’ISPRA in difetto di puntuale motivazione sulle ragioni del dissenso;

-per aver consentito una chiusura giornaliera posticipata, in violazione del comma 7 dell’articolo 18 della legge 157/92.

In seguito all’accoglimento della sospensiva del Tar del 15.10.2009 –nel dichiarato intento di conformarsi al predetto decisum- l’apparato dirigenziale della Regione ha ritenuto di adeguare il calendario alle parti del parere Ispra che erano rimaste disattese. A questo punto le associazioni ricorrenti, con la proposizione di due gruppi di motivi aggiunti, hanno però insistito nel richiamare la prima censura del ricorso introduttivo, secondo la quale la mancanza di dati scientifici sul prelievo (e sulla salute) delle varie specie interessate dalla caccia, impedirebbe più in radice qualsiasi programmazione venatoria, così che risulterebbero pertanto illegittime anche le successive modifiche introdotte al calendario, in asserita conformazione al parere Ispra.

In via pregiudiziale, collegio intende operare alcune considerazioni di fondo

E’ sicuramente da ribadire il diffuso orientamento giurisprudenziale (non solo di questo Tar) secondo cui la formulazione legislativa dell’art. 18 comma 2 legge 11.2.1992 n. 157 (laddove è previsto il previo parere obbligatorio dell’istituto Nazionale per la fauna selvatica in ordine ad eventuali modifiche dei periodi di caccia per determinate specie) implica che la Regione sia tenuta a fornire congrua motivazione, laddove intenda discostarsi dal parere dell’Istituto in questione; ciò del resto in applicazione dei principi generali in tema di pareri non vincolanti (a maggior ragione se obbligatori), nei quali l’acquisizione non condivisa obbliga comunque l’autorità procedente a dare conto del dissenso.

Ulteriore questione –in rilievo nella presente vertenza- riguarda il caso in cui nella Regione di riferimento non operi in modo adeguato il prescritto monitoraggio scientifico della fauna, in base al quale le autorità venatorie sono chiamate a prendere decisioni sui periodi di caccia. In difetto di tale monitoraggio, occorre chiedersi se la programmazione della caccia debba essere o meno radicalmente inibita, in attesa che le amministrazioni provvedano ad acquisire i necessari flussi informativi (in senso affermativo spingono le ricorrenti)

Quanto alla effettiva sussistenza di un deficit di programmazione e di gestione dei dati sulla fauna cacciabile, le associazioni de quibus si sono diffuse sia nel ricorso introduttivo che nei motivi aggiunti, sostenendo che in Abruzzo mancherebbe quella rete differenziata di piani e programmi per la gestione faunistico-venatoria ed ambientale sul territorio, pure ampiamente prevista dalle normative di settore europee, nazionali e regionali (in primis: direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici e la connessa “guida alla disciplina di caccia” della commissione europea, ove si argomenta della necessità di “efficaci sistemi di monitoraggio basati su dati scientifici in modo da assicurare che qualsiasi utilizzazione sia mantenuta a livelli sostenibili per le popolazioni selvatiche”, art. 1 legge 157/92; artt. 13 e 26 LR 10/04, secondo cui le province sono chiamate a trasmettere alla Giunta regionale “improrogabilmente entro il 15 aprile di ogni anno”, una relazione illustrativa sullo status delle popolazioni di animali selvatici omeotermi comprendente dati sugli abbattimenti e sulle catture nella stagione venatoria appena conclusa, corredata dalla consistenza numerica dei cacciatori residenti).

Le associazioni ricorrenti hanno riportato in proposito alcune dichiarazioni rilasciate alla stampa dall’assessore regionale alla caccia, dalle quali si troverebbe conferma che i dati scientifici mancherebbero dal 2004, ed a tale inconveniente la Regione starebbe ponendo (tardivo) rimedio con la predisposizione in itinere del nuovo piano faunistico regionale.

Da qui si sostiene che la PA intimata–per di più con un piano faunistico venatorio regionale in prorogatio dal 2004 (recte, dal 2007,in tal senso, cfr. delibera di consiglio regionale n. 78/2011)- non avrebbe potuto svolgere alcuna azione amministrativa di programmazione dell’attività venatoria, atteso che il monitoraggio delle specie costituirebbe l’inderogabile presupposto per l’applicazione dei poteri di deroga alle prescrizioni nazionali, stabilite dagli artt. 18 e 19 bis della legge 157/92.

Ritiene il tar che la mancanza dei dati sulla fauna selvatica a disposizione della Regione procedente (dati da acquisire secondo le evidenziate modalità di legge) possa ritenersi provata in giudizio, anche in relazione al fatto che lo stesso patrono dell’amministrazione nulla ha specificamente controdedotto al riguardo, né ha depositato documentazione alcuna, mirata ex adverso a dimostrare l’assolvimento dei flussi informativi da parte delle amministrazioni a ciò preposte; in ogni caso la PA intimata non ha neanche indicato la disponibilità di fonti alternative (equiparabili per dettaglio e per qualificazione alla banca-dati da aggiornare), in grado di aver sopperito alle evidenziate lacune di monitoraggio.

Deve pertanto trovare applicazione il disposto dell’art. 64 CPA, in ordine al regime delle prove in giudizio ed alle conseguenze che il giudice deve trarre dal comportamento processuale delle parti.

Da ciò tuttavia non può conseguire una inibizione tout court dell’intera attività venatoria sul territorio regionale, come invece argomentato, non tanto nel ricorso introduttivo (ove tali concludenze risultano solo delineate, con ben maggiori insistenze e dettagli sulle ipotesi caducatorie per specifiche parti del calendario), quanto nel primo e nel secondo gruppo di motivi aggiunti, ove si impugnano (fra l’altro) i rimedi adottati dalla Regione a seguito dell’ordinanza cautelare del tar, sostenendo che si sarebbe trattato di una conformazione fittizia, in un contesto programmatorio di caccia in radice abusivo.

Può peraltro ben affermarsi che la carenza del monitoraggio aggiornato sulle specie cacciabili rappresenta un elemento che necessariamente affievolisce le potestà regolatorie ed autorizzatorie nella soggetta materia, potestà che –almeno per le parti rilievo nella presente vertenza- rimangono limitate ad una prudente (e restrittiva) predisposizione dello schema di calendario da sottoporre al vaglio dell’Ispra, con il quale dovrebbe essere peraltro perfezionata una fruttuosa interlocuzione previa; quanto sopra, con l’intesa che il programma venatorio potrà interessare le sole parti che detto Istituto –sulla base di propri studi scientifici sul territorio- ritiene compatibili con la buona salute delle specie interessate.

Si vuole cioè affermare che quell’Organo di consulenza scientifica –attraverso i dati di sua diretta disponibilità- è in grado, almeno in parte, di supplire al difettoso monitoraggio operato dalle amministrazioni del territorio, così che queste ultime possono ragionevolmente recepire le indicazioni di caccia rese nei pareri dell’Ispra, beninteso per le sole componenti prescrittive basate su studi scientifici già acquisiti, e sempre che la consulenza non subordini il parere positivo di cacciabilità ad ulteriori verifiche delle amministrazioni destinatarie (verifiche che non potrebbero essere improvvisate per l’occasione od affidate in extremis ad organi locali, in mancanza di una generale banca dati maturata e coordinata per tempo). Resta poi inteso che –pur nel delineato e più generale deficit informativo- le disposizioni regolatorie regionali possono basarsi su dati aliunde acquisiti da altri Organismi scientifici accreditati, dati comunque da riferire e da analizzare nello specifico contesto territoriale di intervento, e sempre in stretto coordinamento con l’Ispra.

E’ poi appena il caso di precisare che la suesposta programmazione (straordinaria) di caccia determina un impedimento alla Regione di esprimere un legittimo dissenso sul parere reso dal predetto Istituto scientifico, dissenso invece –come sopra visto-altrimenti delineabile attraverso congrua motivazione, ma solo nei casi di rituale disponibilità, da parte della PA procedente, della presupposta ricognizione delle popolazioni faunistiche, proprio perché nessuna argomentazione tecnico-scientifica la Regione sarebbe in grado di opporre in modo attendibile, senza il necessario monitoraggio delle specie, formalizzato secondo le modalità di legge. Né ovviamente potrebbero delinearsi decisioni alternative (di discutibile opportunismo), asseritamente basate sugli stessi dati scientifici posti a disposizione dell’Istituto (od episodicamente aliunde acquisiti), potendosi al più configurare una eventuale interlocuzione della Regione con Ispra, al fine di ottenere correttivi, scaturiti da una diversa interpretazione dei medesimi dati.

Sulla base degli esposti principi, deve pertanto operarsi lo scrutinio sulle disposizioni regionali oggetto di impugnativa.

Va ravvisata in primis la fondatezza delle censure azionate con il ricorso introduttivo, con cui viene dedotta l’illegittima difformità di alcune disposizioni del calendario impugnato rispetto alle diverse indicazioni rese dall’Ispra.

Infatti, non solo la Regione ha omesso di motivare alcunché in ordine al “perché” del dissenso dal parere dell’istituto (circostanza che secondo le regole generali determina ex se l’illegittimità del modus operandi regionale, come già evidenziato nell’ordinanza di sospensiva 200/09), ma, ancor più a monte, l’assenza di un proprio monitoraggio delle specie cacciabili avrebbe impedito alla Regione stessa di procedere a qualsiasi motivata disattenzione dell’apporto consultivo in questione, e ciò per la rilevata impossibilità di far valere –e di illustrare in modo convincente- una (inesistente) istruttoria scientifica di segno diverso.

L’ultima doglianza del ricorso introduttivo non può invece trovare condivisione. In essa si lamenta in modo generico la presunta violazione del comma 7 dell’articolo 18 della citata legge 157/92 ove si stabilisce che la caccia è consentita un’ora prima del sorgere del sole sino al tramonto e, per gli ungulati, anche un’ora dopo quando sia fatta secondo un metodo selettivo. Secondo la ricorrente l’impugnato calendario venatorio avrebbe invece consentito di protrarre la caccia ben oltre il tramonto (addirittura un’ora dopo nel mese di gennaio), come emergerebbe dal raffronto fra gli orari del calendario con quelli forniti dall’Osservatorio astronomico di Teramo. Nessuna indicazione concreta e puntuale dei reclamati scostamenti è stata tuttavia evidenziata e comprovata, così che nella detta censura emergono profili di estrema genericità, che conducono il tar alla conseguente reiezione.

Passando al vaglio dei primi motivi aggiunti notificati il 2.11.2009, va sùbito anticipato che la determinazione dirigenziale del 16.10.2009 –per le parti oggetto di questa impugnativa- ha assunto un connotato meramente preparatorio, privo di attuale lesività.

Più in particolare, il dirigente del Servizio Economia Ittica della Regione Abruzzo ha in quella sede sospeso il prelievo venatorio della starna nelle more dell’accertamento della effettiva consistenza dei relativi stock faunistici (disposizione, questa, ovviamente non gravata), suggerendo poi le varie modalità con cui la Giunta Regionale avrebbe potuto recepire il parere dell’Ispra del 29.6.09, ai fini della completa esecuzione della richiamata ordinanza.

Le associazioni ricorrenti –insoddisfatte dei contenuti conformativi della predetta determina- hanno diffidato in data 21.10.09 la Regione ad adottare iniziative ritenute elusive del provvedimento cautelare Tar, chiedendo che venisse fatta chiarezza in ordine al fatto che il divieto di prelievo venatorio valesse non solo per la starna, ma per tutte le specie cacciabili, sino ad una nuova legittima delibera della Giunta regionale. Da qui, per l’appunto, l’impugnativa aggiunta del 2.11.09 all’esame del collegio.

Ma in realtà, le disposizioni avversate si sono limitate a programmare la futura attività deliberativa della Giunta regionale, senza formalizzare alcun provvedimento lesivo, la cui impugnativa deve essere conseguentemente dichiarata inammissibile.

Quanto ai secondi motivi aggiunti del 24.11.09 –diretti sulla determinazione dell’11.11.09, con cui il predetto dirigente regionale ha (questa volta) effettivamente disposto la modifica del calendario venatorio nei sensi anticipati con la precedente determina del 16.10.2009- va preliminarmente accolta la doglianza di incompetenza dedotta dalle ricorrenti associazioni, in merito al fatto che tale modifica sarebbe illegittimamente avvenuta con atto dirigenziale, anziché con il diretto intervento deliberativo della Giunta regionale, Organo titolare del provvedimento sul quale le modifiche si appuntano.

Invero il dirigente aveva trasmesso gli atti alla Giunta, la quale tuttavia (tramite il componente preposto alla Caccia, con nota del 10.11.09) ha ritenuto di non deliberare in materia, sul rilievo che si sarebbe trattato “del mero recepimento di un atto giurisdizionale, riservato alla titolarità del dirigente”.

Detto assunto non può essere condiviso, in primis poiché la conformazione ad un decisum giudiziario può postulare –come nella specie- fasi interpretative ed applicative complesse, e comunque prive di meri automatismi, da rimettere pertanto all’Organo ordinariamente deputato a provvedere nella soggetta materia (il quale è pertanto tenuto a rispondere del suo operato anche e soprattutto per tali delicate fasi di adeguamento).

In secondo luogo, non appare così chiaro che le misure correttive in questione siano state assunte solo in vista del dovere conformativo all’ordinanza cautelare, senza alcuna condivisione degli adeguamenti stessi, e quindi senza alcun ripensamento amministrativo rispetto alla originaria versione.

Pur non potendosi escludere una tale evenienza (così che il ricorso principale sulle originarie previsioni del calendario è stato prudentemente deciso nel merito), nessuna specifica considerazione risulta esplicitata nella determinazione impugnata e/o nel rinvio alla dirigenza operato dal componente di Giunta, mentre neanche in vista dell’odierna udienza di discussione, l’amministrazione ha mai inteso riaffermare la legittimità del “primo” calendario impugnato.

Non sussistevano quindi attendibili ragioni per esonerare l’Organo collegiale dalla modifica ad hoc, ovvero dalla integrale riadozione del (nuovo) calendario venatorio, da ciò conseguendo la fondatezza della esposta censura di incompetenza.

Peraltro, la portata conformativa della presente pronuncia verso future deliberazioni di settore consiglia il collegio a ponderare anche le restanti doglianze, senza applicazione della regola giurisprudenziale che ravvisa nell’incompetenza un vizio pregiudiziale, capace di determinare l’integrale assorbimento di ogni altra censura.

Analizzando le singole modifiche introdotte con la determina in questione si osserva quanto segue:

-non può condividersi la prescrizione sul prelievo venatorio della lepre comune (fissato al 30.11.09, con divieto di cacciabilità di detta specie, nelle aree ove vi fosse prova scientifica di sovrapposizione di popolazione di lepre italica); infatti, in un contesto più volte evidenziato di carente monitoraggio scientifico in cui ancora versano gli enti territoriali e locali abruzzesi, il richiamo operato dalla Regione alla eventuale “prova scientifica” (di sovrapposizione con la specie protetta) appare privo di concretezza e di attendibilità, proprio in relazione al precario stato di capacità ricognitiva dell’intera fauna cacciabile, in cui la Regione stessa ha dimostrato ancora di versare (nonostante i volenterosi intenti connessi al nuovo piano venatorio in itinere). Nel delineato contesto non si vede come possa farsi riferimento ad una prova scientifica particolarmente complessa e severa –di assoluto impegno anche per le Regioni più virtuose, già in possesso di adeguati monitoraggi venatori – che dovrebbe presupporre tra l’altro l’accertamento sulla esatta distribuzione delle due specie sul territorio, con prelievo sostenibile della lepre comune “basato su censimenti o stime d’abbondanza, pianificazione del prelievo e analisi dei carnieri” (parere Ispra del 29.6.09).

Non rileva in contrario quanto affermato dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di L’Aquila nella sua memoria del 2.11.2009, ove si afferma che “proprio per arginare il rischio indiretto derivante dalla confondibilità delle specie lepre europea (cacciabile) e lepre italica (protetta) … la Provincia di L’Aquila (che aveva provveduto a richiedere all’Ispra notizie in ordine alla contemporanea presenza delle due specie) ha interdetto la caccia alla lepre in due SIC (Siti di Importanza Comunitaria denominati Gole del Sagittario e Monte Genzana e nell’intera ZPS denominata Parco Regionale Sirente Velino”).

Ed invero, non può trovare condivisione un calendario venatorio con improprie deleghe “in bianco” che –relativamente ad un prelievo di caccia così delicato e pericoloso per un’altra specie “a contatto” con forte rischio di estinzione- affidi alle singole Province il compito di verificare “caso per caso” se autorizzare o meno tale prelievo, rinviando il tutto ad una “prova scientifica” che la stessa Regione procedente non sarebbe stata in grado di raggiungere, in carenza di quel monitoraggio delle specie cacciabili che le stesse Province avrebbero dovuto far confluire a livello regionale, per gli opportuni coordinamenti. Quanto sopra, peraltro in un contesto di legge statale (l. 157/92) e regionale (L.R. 10/2004) che affida alla Regione l’esclusiva titolarità del calendario stesso.

In via generale, compito della Regione sarebbe dunque quello di pubblicare i dati scientifici di riferimento, sulla base dei quali disporre nel suo calendario su quali ambiti territoriali (ritenuti più sicuri) poter autorizzare la caccia alla lepre, ovvero indicando –al contrario- quegli ambiti prudenzialmente interdetti. Di contro, in caso di mancata disponibilità di quei dati, la decisione di inibire in radice la caccia alla lepre sarebbe la soluzione più logica e conforme al principio comunitario di precauzione; ebbene è facile concludere che tale decisione sarebbe stata del tutto pertinente nella vicenda in esame, visto il grave deficit che ancora caratterizza in Abruzzo il censimento di tutta la fauna selvatica sul territorio (anche di quella più facile ad essere monitorizzata).

In ogni caso, a tutto voler concedere, la regione stessa avrebbe dovuto quantomeno avvalersi dell’aiuto offerto dall’Ispra nel citato parere del 29.6.09, laddove –in relazione al forte rischio di ricadute sulla lepre italica- si era deciso di assicurare “fin d’ora il proprio eventuale supporto tecnico scientifico sia a livello regionale che periferico”.

Il fatto che la (sola) Provincia dell’Aquila –secondo quanto riferisce il patrono della PA intimata- abbia consultato l’Ispra al fine di avere ragguagli suoi luoghi di maggiore commistione delle due specie, per poi prendere coerenti decisioni inibitorie in relazione a tali luoghi, non affievolisce ma conferma l’illegittimità della impugnata determinazione regionale, con la quale –in luogo delle dovute disposizioni sull’intero territorio abruzzese, ove del caso attraverso un fattivo coordinamento “a monte” con l’Istituto scientifico - si è invece operata una impropria delega devolutiva alle singole Province (o meglio, alla buona volontà delle singole Province). Il risultato è che –secondo quanto riferito dalla stessa difesa regionale- solo la Provincia dell’Aquila ha affrontato il problema, mentre nulla emerge per ciò che concerne le altre tre province ove – è il caso di temerlo- la caccia alla lepre potrebbe essersi svolta senza aver previamente ponderato gli evidenziati rischi di confondibilità delle due specie. Né risulta dagli atti di causa che la Regione abbia, quantomeno, richiesto nel tempo documentati ragguagli alle Province su come sia stato gestito quel prelievo venatorio, negli ambiti territoriali di rispettiva competenza.

Vanno invece positivamente scrutinate le disposizioni che riguardano il termine del prelievo venatorio del fagiano (fissato al 6.12.09), atteso che la conformazione al parere Ispra sul punto appare congrua. Nella citata consulenza del 29.6.09, l’Istituto aveva infatti osservato che “la condizione del fagiano nella regione è tale da sconsigliare la prosecuzione del prelievo venatorio oltre i primi di dicembre”, così presupponendo di possedere dati scientifici sufficienti a ritenere che in Abruzzo fino a quel periodo indicato (condiviso dall’amministrazione) il prelievo di quella specie sarebbe stato tollerabile. In buona sostanza, opera in questo caso quella supplenza scientifica Ispra-Regione, di cui il collegio ha a lungo argomentato in precedenza.

Quanto invece ai periodi durante i quali è stata accordata la possibilità di cacciare con il cane, occorre distinguere i vari passaggi della nuova determinazione regolatoria.

Nulla quaestio per l’apposizione del termine “generale” di fine caccia al 31.12.09, trattandosi di una misura adesiva al parere Ispra, ove si afferma che “dal punto di vista tecnico la caccia vagante, soprattutto se con l’ausilio del cane, dovrebbe terminare non oltre il mese di dicembre”. Desta ovviamente perplessità la ricerca sistematica del “massimo utile” –quanto al dimensionamento delle varie facoltà venatorie- rispetto a quanto delineato dall’Istituto scientifico, così da prescegliere sempre e comunque la soluzione che l’Ispra ipotizza come limite massimo di tollerabilità del prelievo di caccia. Tale modus operandi non rende una eccellente garanzia di serenità valutativa e di indipendenza da pressioni esterne, collegate agli interessi settore, tanto più in contesto di penuria cognitiva sulla salute delle specie, penuria che dovrebbe ragionevolmente condurre alla massima precauzione ed –almeno in qualche caso- ad utilizzare i suggerimenti dell’Ispra, non sempre e solo nella loro maggiore “espansione”. Tuttavia il presente sindacato di legittimità (e non di merito) esclude che il giudice possa intervenire in senso caducatorio sulla sola base delle predette osservazioni di fondo, così che la disposizione in questione deve ritenersi legittima.

Discorso diverso riguarda invece l’eccezione operata per le aziende faunistico venatorie, per le aziende agri-turistico-venatorie e per la caccia al cinghiale e alla volpe in squadre autorizzate, con conferma in questi casi del preesistente termine del 31.1.10.

Vero è che nel suo parere del 29.6.09 l’Ispra aveva previsto per tali categorie possibili eccezioni. Tuttavia in questo caso l’adesione al “massimo consentito” (nei sensi appena esposti) restava obiettivamente impedita proprio dalla carenza del monitoraggio scientifico; detta lacuna infatti non può che escludere scelte “eccezionali”, in quanto tali valutabili solo in presenza di quelle adeguate (ed aggiornate) statistiche sulla fauna selvatica del territorio, di cui invece la Regione non dispone.

Nessuna misura conformativa –pur dopo l’ordinanza di sospensiva n. 200/09- risulta invece presa dalla Regione in ordine alle specie stanziali (lagomorfi e Fasianidi), per le quali il calendario impugnato ha anticipato l’apertura della stagione venatoria al 20 settembre, in contrasto con quanto aveva suggerito l’Ispra, secondo cui l’apertura della caccia a quelle specie avrebbe dovuto posticiparsi all’inizio di ottobre. Per tale parte del calendario, rilevano pertanto le conseguenze caducatorie collegate all’accoglimento del gravame introduttivo.

Infine non può trovare accoglimento la censura nei confronti dell’art. 3 bis della delibera di giunta n. 515/09 ove si permette l’utilizzo del piccione di allevamento come richiamo vivo nella caccia da appostamento al colombaccio. Secondo le ricorrenti la predetta disposizione sarebbe in contrasto:

- con l’art. 5 comma 1 della della legge 157/92, ove si prevede una normativa secondaria regionale –previo parere Ispra- per regolamentare “l'allevamento, la vendita e la detenzione di uccelli allevati appartenenti alle specie cacciabili, nonchè il loro uso in funzione di richiami”;

-con l’art. 21 comma 1 lett. p), ove si fa divieto di usare richiami vivi, al di fuori dei casi previsti dall'articolo 5”.

In contrario è tuttavia da precisare che il piccione domestico non appartiene alla fauna selvatica (presa in considerazione dalla legge 157/92), poiché tale specie, diversamente da quanto previsto dall’art. 2 della 157/92 non vive “stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà sul territorio nazionale” e pertanto non è oggetto di tutela ai sensi della predetta legge n. 157/92 (così anche il parere n. 5439/T-A del 18/09/2000 dell’ex INFS, ove si esclude categoricamente che il piccione domestico sia da considerarsi fauna selvatica).

In conclusione:

-va dichiarata la fondatezza del ricorso introduttivo e dei secondi motivi aggiunti, nei limiti delle doglianze scrutinate favorevolmente;

-va invece dichiarata l’inammissibilità dei primi motivi aggiunti.

Sussistono ragioni per compensare le spese di lite.


P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo (Sezione Prima) accoglie il ricorso introduttivo ed i secondi motivi aggiunti, nei limiti di cui in motivazione;

dichiara inammissibili i primi motivi aggiunti.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in L'Aquila nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Saverio Corasaniti, Presidente

Paolo Passoni, Consigliere, Estensore

Maria Abbruzzese, Consigliere



L'ESTENSORE             IL PRESIDENTE



DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/06/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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