mercoledì 3 luglio 2013

Abruzzo: la previsione di un unico comparto regionale contrasta con le disposizio​ni statali

Il territorio regionale agro-silvo-pastorale destinato alla caccia programmata in ambiti territoriali di caccia, deve essere ripartito in dimensioni subprovinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali. Dunque, la previsione di un unico comparto regionale contrasta con la regolamentazione nazionale della caccia alle specie migratorie.

Per questo la Corte Costituzionale – con sentenza 20 giugno 2013, n. 142 dichiara incostituzionale la legge regionale dell’Abruzzo del 2004, “Normativa organica per l’esercizio dell’attività venatoria, la protezione della fauna selvatica omeoterma e la tutela dell’ambiente”. La questione di legittimità è stata sollevata nel corso di un giudizio amministrativo riguardante il calendario venatorio 2011-2012 in Abruzzo.

Alcune associazioni ambientali hanno contestato la legittimità degli atti della Regione che l’hanno approvato. Perché non osservano una contraria indicazione dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Perché, dal momento che il calendario venatorio risulta meramente attuativo delle disposizioni regionali, queste contrastano con la normativa statale. Le disposizioni, infatti, prevedono un unico comparto regionale in luogo di quelli di dimensioni sub provinciali.

Il comparto unico sulla fauna migratoria è previsto dalla legge regionale che dispone l’iscrizione di diritto al comparto unico dei cacciatori iscritti a un ambito territoriale di caccia (Atc) abruzzese o residenti in Regione e disciplina le giornate settimanali di caccia consentite. Mentre quelli subprovinciali sono previsti dalla legge nazionale (157/1992), quella che detta le disposizioni per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio.

La legge nazionale ha introdotto la nozione di ambito di caccia “di dimensioni subprovinciali” proprio per assicurare la naturale omogeneità degli ambienti venatori, Infatti, dispone che le regioni, con apposite norme, sentite le organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e le province interessate, ripartiscono il territorio agro-silvo-pastorale destinato alla caccia programmata in ambiti territoriali di caccia, di dimensioni subprovinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali (articolo 14, 1 comma legge 157/1992).

Con tale disposizione – così come ha già chiarito la Corte Costituzione con una sentenza del 2000 – il legislatore nazionale ha cercato di individuare un punto di equilibrio tra il primario obiettivo dell’adeguata salvaguardia del patrimonio faunistico nazionale e l’interesse all’esercizio dell’attività venatoria, attraverso la previsione di penetranti forme di programmazione dell’attività di caccia.

In tale prospettiva diventa qualificante la valorizzazione delle caratteristiche di omogeneità, dal punto di vista naturalistico, dei territori nei quali si esercita la caccia. Tali caratteristiche devono essere adeguatamente considerate dalle Regioni in vista della delimitazione degli ambiti territoriali di caccia. Anche perché l’aspetto rilevante, nel disegno del legislatore statale, è quello della realizzazione di uno stretto vincolo tra il cacciatore e il territorio nel quale esso è autorizzato a esercitare l’attività venatoria.

Quindi attraverso la ridotta dimensione degli ambiti stessi, il legislatore statale ha voluto pervenire a una più equilibrata distribuzione dei cacciatori sul territorio, e attraverso il richiamo ai confini naturali, ha voluto conferire specifico rilievo – in chiave di gestione, responsabilità e controllo del corretto svolgimento dell’attività venatoria – alla dimensione della comunità locale, più ristretta e più legata sotto il profilo storico e ambientale alle particolarità del territorio.

La previsione di un unico comparto regionale dimentica queste finalità. Anzi si pone in evidente contrasto con il modello statale, non solo per la mancata scansione in ambiti venatori subprovinciali dell’intero territorio regionale, ma anche per l’omessa considerazione delle peculiarità ambientali, naturalistiche e umane afferenti ai singoli contesti territoriali.

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