giovedì 27 settembre 2018

Cervo ucciso nella Valle Roveto: denunciato un cacciatore di Capistrello, indaga la procura

Capistrello – Ci sarebbe una denuncia per l’episodio di caccia di frodo consumatosi nella Marsica nel fine settimana appena trascorso. Si tratta di un cacciatore di Capistrello accusato dell’uccisione di un esemplare di cervo, ma nella vicenda potrebbero essere coinvolte anche altre persone. L’accusa per l’uomo è quella di aver cacciato una specie protetta. Il cervo, infatti, rientra tra gli animali su cui vige divieto di caccia in tutto il territorio della Regione Abruzzo. Il cacciatore sarebbe strato colto sul fatto dai carabinieri forestali della stazione di Canistro proprio mentre scuoiava l’animale. Sul posto sono prontamente intervenuti anche i sanitari della Asl di Avezzano i quali hanno riscontrato fori compatibili con colpi d’arma da fuoco, presumibilmente una carabina, sul corpo del cervo che ne avrebbero causato il decesso. L’episodio di bracconaggio sarebbe avvenuto sabato mattina nel territorio montano della Valle Roveto al confine tra i comuni di Capistrello e Canistro. Indagini sono in corso da parte della Procura di Avezzano per fare ulteriore chiarezza sulla vicenda.

martedì 25 settembre 2018

Danni da cinghiale: la caccia ne provoca l’aumento e non la diminuzione

Comunicato stampa del 25 settembre 2018
 
Uno studio europeo dimostra quello che il WWF e altre associazioni sostengono da sempre

Danni da cinghiale: la caccia ne provoca l’aumento e non la diminuzione

Uccidendo adulti si innescano risposte compensative nella fertilità e cresce la dispersione
 


Negli ultimi decenni la popolazione di cinghiali in tutta Europa, nonostante la forte pressione venatoria e a dispetto delle tante metodiche di caccia messe in atto, è cresciuta in maniera addirittura esponenziale. Lo dimostra, dati alla mano, uno studio pubblicato già da qualche anno dalla rivista Pet Management Science, firmato da diversi autori provenienti da quasi tutta Europa (G. Massei et al., “Wild boar populations up, numbers of hunters down? A review of trends and implications for Europe”. Pet Management Science, volume 71, aprile 2015, pp. 492-500).

I ricercatori hanno evidenziato come la mortalità naturale (pressioni climatiche, malattie e predazione, soprattutto da parte del lupo), incidendo in gran parte sulle classi giovanili, mantiene una struttura della popolazione più stabile e determina una minore dispersione di individui. L’attività venatoria, al contrario, colpisce soprattutto gli adulti e innesca risposte compensative tra i cinghiali e li diffonde maggiormente nel territorio. In altre parole la destrutturazione della popolazione che si ha attraverso l’azione dei cacciatori (anche di quelli, aggiungiamo noi, che hanno acquisito il ruolo dei cosiddetti “selecontrollori”) comporta l’aumento del tasso riproduttivo, la riproduzione precoce delle femmine e un maggior tasso di dispersione tra i giovani, che sono poi quelli che più creano danni alle produzioni agricole, come ben sa chi affronta il problema su basi scientifiche e non basandosi sui “si dice” e su impressioni non di rado interessate.

Nello studio si sottolinea che il tasso di aumento medio della popolazione di cinghiali in Europa è stato quasi sempre superiore a 1 con picchi sino a 1,46. Vuol dire che, dai primi anni ‘80 del secolo scorso a oggi, l’attività venatoria non ha in alcun modo contenuto la crescita numerica delle popolazioni. Senza mai dimenticare che le immissioni per la caccia, legali e non, hanno al contrario contribuito ad aumentare enormemente il numero dei cinghiali. Già nel 1993 un documento tecnico dell’allora Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (oggi confluito nell’ISPRA) sottolineava come l’attività venatoria “è responsabile di ripopolamenti più o meno massicci e di introduzioni con individui provenienti da regioni geograficamente molto distanti”.

«Il tentativo – sottolinea il responsabile regionale del WWF Luciano Di Tizio - di limitare i danni alle coltivazioni aumentando la pressione venatoria, che continua a essere in Abruzzo e in altre regioni italiane la scelta privilegiata di una politica miope e che prende le proprie decisioni sulla base di impressioni e non su fondamenti scientifici, è dunque profondamente sbagliato. Basterebbe confrontare l’evoluzione dei danni negli anni per rendersene conto: sono tendenzialmente stabili là dove la caccia è poco o per nulla presente, tendono ad aumentare in presenza di una pressione venatoria esagerata».

«Sarebbe ora di finirla una volta per tutte – aggiunge il vice presidente del WWF Italia Dante Caserta - con soluzioni semplicistiche che hanno un puro e semplice effetto propagandistico e che servono al più a raccogliere qualche consenso (e forse qualche voto) nel mondo venatorio. La strategia che attribuisce ai cacciatori il compito di contrastare un problema che loro stessi hanno determinato è perdente, inutile e spesso dannosa, ad esempio quando si autorizza la braccata con i cani, la peggiore soluzione in assoluto perché, oltre ad arrecare disturbo a tutta la fauna, anche quella protetta e preziosa (basterà citare l’orso marsicano), contribuisce ad aumentare il tasso di dispersione dei cinghiali e di conseguenza produce un aumento proprio di quei danni, alle coltivazioni e alla sicurezza stradale, che si vorrebbero contenere».


WWF Italia Onlus, Abruzzo
abruzzo@wwf.it

lunedì 24 settembre 2018

Cervo ucciso nella Valle Roveto, nei guai un gruppo di cacciatori

Marsica – Hanno ucciso un cervo, ma sono stati sorpresi dai carabinieri forestali mentre si accingevano a scuoiare l’animale appena cacciato. Nei guai sono finiti un gruppo di cacciatori intercettati dai militari della stazione di Canistro. L’episodio di caccia di frodo si è consumato nel fine settimana in un comune della Valle Roveto. Il cervo rientra tra le specie protette e pertanto, in Abruzzo, non può essere cacciato così come previsto dal calendario venatorio regionale.

In Marsica si ricorda un precedente nel marzo del 2016 quando alcuni cacciatori vennero accusati dell’uccisione di un esemplare adulto di cervo, un maschio del peso di 300 chilogrammi, nei pressi del Parco Nazionale d’Abruzzo esattamente in area contigua Zona Protezione Esterna di un’area protetta per arma da fuoco.

Federica Di Marzio

Fonte: marsicanews.com del 24 settembre 2018

venerdì 21 settembre 2018

Abruzzo. Le Associazioni venatorie litigano tra loro per il ricorso presentato da Federcaccia

Ricorso bis al calendario venatorio: il dissenso di tre associazioni di cacciatori

Con una certa sorpresa i presidenti provinciali di Teramo di Arcicaccia, Enalcaccia e Liberacaccia apprendono dal comunicato stampa diramato da Ermanno Morelli che la Federcaccia avrebbe presentato un ricorso al Tar contro il calendario venatorio della Regione Abruzzo, l’ennesimo ricorso.


La cosa desta perplessità per una serie di motivi.

Innanzitutto la tempistica. A pochi giorni dalla pubblicazione della sentenza del Tar pronunciatosi sulla sospensiva richiesta dal WWF, e che ha dato sostanzialmente ragione alla Regione Abruzzo, spunta un nuovo ricorso al Tar proposto da Federcaccia.

L’Assessore Regionale Dino Pepe ha appena fatto in tempo a comunicare a mezzo stampa la notizia dell’avvio della stagione venatoria così attesa dai cacciatori, che cade una ennesima tegola su questo delicato atto regionale.

Arcicaccia, Enalcaccia e Liberacaccia non possono che constatare come il calendario venatorio in Abruzzo abbia ogni anno un parto sempre difficile, legato probabilmente alle richieste delle Associazioni Ambientaliste che in maniera piuttosto strumentale e demagogica giocano a creare inutili impedimenti all’attività venatoria. In questo clima di battaglia ci sarebbe bisogno di unità nel mondo venatorio, sicuramente non di altri ricorsi. Difatti questi sono sempre accompagnati da sentenze che lasciano l’amaro in bocca, oltre allo sperpero di denaro, e creano molta confusione tra i cacciatori i quali non hanno più certezza delle regole, fino al pronunciamento del Giudice di turno.

Tutti i cacciatori ormai sanno che lo strumento del Calendario Venatorio ha una nascita molto partecipata tra tutte le componenti interessate raccolte nella Consulta Regionale della caccia: amministratori, Parchi, cacciatori, agricoltori, ambientalisti, ecc.. E’ in quella sede che i vari rappresentanti, soprattutto quelli delle Associazioni Venatorie, devono fare la loro parte con fermezza ma con altrettanto senso di responsabilità.

Secondo le sigle che rappresentiamo fare richieste volutamente inaccettabili, creare polemiche strumentali, proporre continui ricorsi al Tar – per giunta pagati con i soldi dei cacciatori – non fa parte del corretto approccio alla democrazia partecipata, ma viceversa appare come una stantia strategia che si basa sulla ricerca della critica a tutti i costi, utile forse a qualcuno, ma non certamente alla caccia ed ai cacciatori.

La continua ricerca della strumentalizzazione e della polemica a tutti i costi, come ormai tutti hanno inteso, riguarda più la sfera politica che non quella amministrativa; prova ne è che ad ogni polemica, ricorso, contrapposizione, spunta il nome dell’Assessore regionale di turno o di qualche Consigliere che gli si contrappone.

In questo clima di veleni, in cui i rappresentanti appaiono più impegnati a guerre impossibili prima ancora che a diatribe politiche, non meraviglia che l’opinione pubblica e le istituzioni maturino un certo sentimento di scetticismo che porta ad un inevitabile distacco dal mondo venatorio e dalla caccia.

Arcicaccia, Enalcaccia e Liberacaccia, nel prendere le dovute distanze dall’iniziativa intrapresa da Federcaccia, intendono rilanciare il dialogo, aperto ma determinato, con le istituzioni; occorre intraprendere in maniera unitaria tra tutte le Associazioni un percorso condiviso, sposare un metodo di lavoro costruttivo, non distruttivo o di ostinata contrapposizione spesso condotta per le vie legali; serve un lavoro di concertazione, basato sulla composizione armonica di istanze differenti e soprattutto illuminato dalla capacità di mediazione. Solo così le istituzioni potranno farsi carico delle nostre istanze e l’opinione pubblica riconoscere le qualità ancora da riscoprire delle nostre attività. 
 

giovedì 20 settembre 2018

Abruzzo. Calendario venatorio: nuovo ricorso al Tar di Federcaccia

Nuovo ricorso della Federcaccia in merito al calendario venatorio. Il nuovo ricorso si basa sulla necessità di ripristinare la legalità della formazione del calendario venatorio abruzzese, anche in ottica futura.

Con questo ricorso di mira ad ottenere da parte del Tribunale amministrativo il ripristino delle specie cacciabili e dei relativi periodi di caccia. La Regione, infatti, di sua iniziativa, contrariamente a quanto stabilito dalla Legge nazionale sulla caccia, che decide le specie cacciabili, ha deciso di propria iniziativa di cancellare alcune specie e di restringere il periodo di caccia per altre. Iniziativa che è in totale contrasto con una Legge sovrastante, come speriamo accerti il Tar.

Nel ricorso di Federcaccia ci sono anche ulteriori aspetti che sono a nostro avviso contrari alla legge e incostituzionali, Ci spiace che l’assessorato alla caccia continui a perseguire una linea politica illegittima.

“L’assessore alla caccia Dino Pepe”, si legge in una nota, “alle soglie di una campagna elettorale dove non troverà sicuramente il consenso e l’appoggio dei cacciatori, ha preferito continuare con ottusità politica sulla sua strada, piuttosto che aprire un serio e sereno confronto con i cacciatori. I quali chiedono solamente il rispetto delle leggi.

L’assessore Pepe, che già punta al nuovo piano faunistico venatorio, non deve dimenticare di seguire la linea politica sulla base di quello esistente che, fino ad approvazione del nuovo, ha valore ed esplica i suoi effetti legali. Le ripetute affermazioni dell’assessore e dei suoi uffici sembrano voler significare l’assenza totale del piano faunistico, cosa che invece non è vera”.
 

lunedì 17 settembre 2018

Domenica da “Far West” nelle campagne di Spoltore: doppiette in azione all’alba

E’ stato davvero un brutto risveglio per molti spoltoresi, quello di ieri mattina domenica 16 settembre. Come ogni inizio autunno, o fine estate, sono tornati in campagna i cacciatori ovvero quelle persone che trovano nell’attività di uccidere volatili selvaggi, ed altre specie animali indifese, una sorta di passione e/o divertimento. Purtroppo è la legge, nel calendario venatorio 2018, approvato dalla Regione Abruzzo, a consentire a costoro di attraversare fondaci e sparare, sin dalle prime luci del mattino, disturbando anche il sonno di chi, residente nelle campagne delle cinque frazioni di Spoltore, vorrebbe riposare dopo una settimana di duro lavoro, con quei rumori di morte che se non tutti, moltissimi, detestiamo. 
 
Le specie che potranno essere cacciate nel nostro territorio sono il fagiano, la quaglia, la tortora, il merlo, la cornacchia, la gazza e la ghiandaia alle quali si aggiungeranno dal 1 ottobre il cinghiale, la lepre, la volpe e la starna. 
In molti, però, ci stanno scrivendo, sostenendo di avere trovato anche dei bossoli di doppiette all’interno delle loro proprietà: sono giustamente preoccupati perchè gli incidenti, provocati da chi pratica queste attività, non sono infrequenti. Ogni anno, infatti, qualche cacciatore perde la vita o rimane ferito colpito da ‘fuoco amico’ durante una battuta di caccia. 
 
Percio’ il nostro consiglio, qualora doveste avere l’impressione che qualcuno di questi appassionati delle armi stia sparando troppo vicino alle vostre abitazioni e, quindi, mettere in pericolo l’incolumità vostra o dei vostri cari, è quello di chiamare immediatamente i carabinieri. Loro sapranno far rispettare la legge ed i limiti di sicurezza entro i quali, ahinoi, questa pratica medioevale è ancora praticabile.

venerdì 14 settembre 2018

Calendario venatorio Abruzzo. Il TAR accoglie parzialmente la sospensiva richiesta dal WWF

Comunicato stampa del 14 settembre 2018 
 
Calendario venatorio Abruzzo. Il TAR accoglie parzialmente la sospensiva richiesta dal WWF

Niente caccia alla lepre a settembre. L’Associazione ambientalista soddisfatta per i risultati ottenuti. Grazie anche alle modifiche già ratificate dalla Regione i danni saranno giustamente limitati

“Abbiamo salvato dal massacro quasi centomila lepri!”: è questo il commento a caldo del coordinatore regionale delle Guardie WWF, Claudio Allegrino, alla ordinanza emessa poche ore fa dal TAR in merito al calendario venatorio regionale.

Il WWF aveva chiesto con il suo ricorso la sospensiva per impedire la caccia a settembre alle specie fagiano, quaglia e lepre. I giudici hanno sospeso la caccia alla lepre per il mese di settembre mentre per quaglia e fagiano hanno ritenuto di non esserci più esigenze cautelari: il calendario venatorio nella sua seconda versione si era infatti già parzialmente adeguato prevedendo il posticipo al 1 ottobre per queste ultime due specie nelle aree Natura 2000 (SIC e ZPS).

Il divieto di caccia alla lepre a settembre salverà potenzialmente 98.952 animali: sono stati cancellati infatti 7 giorni di attività venatoria in ciascuno dei quali ogni cacciatore (in Abruzzo secondo i dati Istat 2007 sono 14.136) avrebbe potuto ucciderne una. “Un risultato importante che si aggiunge – sottolinea il delegato Abruzzo del WWF Italia Luciano Di Tizio - agli altri già ottenuti in questi mesi grazie alle puntuali osservazioni presentate dalla nostra associazione e alle osservazioni dell’ISPRA, in parte recepite dalla Regione dopo la presentazione del ricorso del WWF redatto dall’avv. Michele Pezone. Bisogna per questo dare atto all’assessore Dino Pepe di essersi comportato da assessore alla caccia e non da assessore ai cacciatori, come taluni suoi predecessori, sforzandosi di varare un calendario almeno rispettoso delle norme di legge e del buon senso”.

L’Ente regionale ha infatti emanato pochi giorni fa alcune modifiche migliorative al calendario venatorio con le quali ha ridotto il prelievo nei tempi e nei modi di molte specie cacciabili, accogliendo le prescrizioni dell’Ufficio Valutazione Impatto Ambientale (VINCA) della Regione Abruzzo. A queste vanno aggiunte alcune richieste del WWF pure accolte nella modifica del calendario venatorio come la restrizione del periodo di caccia alla beccaccia portata al 31 dicembre.

Dichiara Dante Caserta, vicepresidente del WWF Italia: “Vincere i ricorsi al TAR Abruzzo è oramai una prassi consolidata per il WWF e questo è dovuto non solo alla tenacia della nostra Associazione nel voler far rispettare le norme e i principi di tutela della fauna selvatica ma soprattutto alla nota e ormai cronica carenza di pianificazione faunistica della Regione. Cambiano i colori politici al governo ma purtroppo nella gestione venatoria i problemi restano immutati: mancanza del Piano Faunistico Regionale, Osservatorio Faunistico Regionale mai istituito, carenza di dati e di studi scientifici in grado di dimostrare la sostenibilità del prelievo, Comitati di Gestione degli ATC che spendono solo per ripopolamenti pronta-caccia. È ora di cambiare, anche per non far spendere inutilmente soldi ai contribuenti. La fauna, lo ricordiamo sempre, è un patrimonio indisponibile dello Stato, cioè di tutti i cittadini, non un trastullo per la piccola minoranza rappresentata dai cacciatori”.

Per concludere, un appello del WWF alla politica regionale: la manifestazione dei cacciatori abruzzesi dello scorso 6 settembre avvenuta a Pescara e che ha visto la partecipazione di meno di 50 cacciatori dovrebbe indurre i nostri amministratori pubblici ad avere meno timore di un mondo venatorio ormai in crisi generazionale e disgregato nelle sue diverse componenti associative.


WWF Italia Onlus, Abruzzo
abruzzo@wwf.it

giovedì 13 settembre 2018

Abruzzo. Sulla gestione del cinghiale il WWF chiede di cambiare approccio. Anni di caccia senza regole non hanno risolto alcun problema

Comunicato stampa del 12 settembre 2018

Finora si è perso soltanto tempo: anni di caccia senza regole non hanno risolto alcun problema

Sulla gestione del cinghiale il WWF chiede di cambiare approccio

Assurdo continuare a chiedere di risolvere il problema a chi lo ha creato e ne trae solo benefici

La bozza di protocollo d’intesa per la gestione e il contenimento del cinghiale (Sus scrofa) elaborata dalla Regione Abruzzo dimostra che, purtroppo, permane la volontà di non cambiare approccio al problema: si continuano ad anteporre gli aspetti emotivi e gli interessi rappresentati dal mondo venatorio a una seria valutazione dell’efficacia e dell’efficienza di quanto fatto fino ad oggi. Si continua in altre parole a perdere tempo e a impiegare male i fondi pubblici. L’approccio finora seguito, secondo il WWF, è completamente a-scientifico visto che ci si è limitati ad allargare modalità e periodi di caccia, senza considerare minimamente l’etologia della specie, le differenze stagionali, il clima, le relazioni all’interno delle popolazioni, ecc.
Continuare a procedere senza avere dati certi, confrontabili e validati (inutilmente richiesti ormai da decenni!) con indicatori per monitorare l’efficacia degli interventi, non fa altro che produrre azioni inefficaci dal punto di vista della riduzione dei danni e deleterie dal punto di vista ecologico.
Il WWF chiede che si parta invece da una valutazione oggettiva dei risultati delle politiche portate avanti in questi ultimi 10 anni in base alle quali si è sostanzialmente arrivati a consentire la caccia al cinghiale in tutti i periodi dell’anno e in tutto il territorio regionale (a esclusione delle aree naturali protette).
Vorremmo conoscere: 1) il numero di cinghiali abbattuti durante il periodo di caccia aperta e quello dei cinghiali abbattuti con il selecontrollo; 2) quali verifiche sono state effettuate sulle attività di selecontrollo per verificarne l’efficacia e l’effettivo svolgimento: da segnalazioni che abbiamo ricevuto quelle che dovrebbero essere delle girate si trasformano sostanzialmente in vere e proprio braccate, deleterie, soprattutto in periodi di riproduzione, non solo per i cinghiali, ma per tutta la fauna che viene inseguita e spaventata da cani e spari.
Vorremmo avere e confrontare con i dati prima ricordati:
  • quali e quante volte prima di intervenire con i fucili si siano effettivamente impiegate, sapendo dove e come, misure dissuasive non cruente (che andrebbero adottate prima degli abbattimenti);
  • i risultati delle catture portate avanti in varie parti della regione (anche all’interno di aree naturali protette), verificandone l’efficacia e l’applicabilità su altri territori.
La ricerca della soluzione del problema attraverso le medesime strategie che lo hanno determinato (in sostanza l’attività venatoria) è stata fino ad oggi del tutto fallimentare all’esterno delle aree naturali protette e lo sarebbe ancora di più al loro interno. È fondamentale che la Regione proceda a sganciare totalmente l’aspetto della gestione dei danni dall’attività di caccia. Dopo anni di politiche basate sugli abbattimenti si continuano registrare problemi alle colture: ci si deve quindi interrogare sulla reale efficacia di affrontare il problema attraverso lo strumento dei cacciatori che, dopo essere stati l’origine del problema con l’introduzione in Abruzzo di cinghiali a scopo venatorio, vengono ora individuati come la soluzione nonostante siano i meno interessati a risolverlo essendo i primi beneficiari di questa situazione che ha consentito loro di andare a caccia anche in periodi in cui tale attività è vietata e che assicura, in molti casi, una fonte di reddito non secondaria.
E la necessità di sganciare la gestione dei danni dall’attività venatoria è tanto più vera all’interno delle aree naturali protette, dove l’interesse primario da tutelare è la salvaguardia di specie e habitat.
Noi pensiamo che questa “sfida” possa e vada vinta, insieme, e in tal senso, con spirito collaborativo, chiediamo di prendere a riferimento il decalogo che riportiamo qui di seguito.
Chiediamo in tal senso all’Osservatorio Regionale per la biodiversità di esprimersi sulle proposte e di assumere il coordinamento della stesura di un documento tecnico di indirizzo, in particolare per quanto di competenza diretta, coinvolgendo le Aree Protette Regionali e il mondo agricolo, affinché il cinghiale si trasformi da centro di conflittualità in un primo vero punto di incontro.

DIECI PROPOSTE ALLA REGIONE
  1. all'interno delle aree naturali protette sono da porre in essere e favorire attività di ripristino e restauro degli equilibri naturali. Gli obiettivi e le modalità di intervento devono essere quindi diversi da quelli usati all’esterno delle stesse;
  2. qualsiasi intervento sulle specie faunistiche (compreso il cinghiale) all’interno di aree naturali protette non può essere effettuato in assenza di un apposito Piano basato su dati certi con cognizione di numero, classi d’età e sesso dei capi da abbattere;
  3. il Piano deve:
  4. a) individuare e caratterizzare aree omogenee;
  5. b) definire densità obiettivo e indicare quanto si è lontano dall’equilibrio (numero, classi di età e sesso);
  6. c) attivare riqualificazione del paesaggio agro-silvo-pastorale tradizionale;
  7. d) prevedere mezzi di dissuasione e, in subordine, di cattura;
  8. e) prevedere una diversificazione cuscinetto dei sistemi di prelievo venatorio ordinario;
  9. f) prevedere azioni secondo criteri temporali e dimensionali omogenei rispetto a quanto fatto all’esterno delle aree naturali protette, al fine di evitare disparità di interventi per giunta mal coordinati con i periodi di caccia collettiva;
  10. g) in caso di mancato raggiungimento delle densità obiettivo, prevedere che il sistema risarcitorio debba essere sostenuto dai responsabili del mancato raggiungimento degli obiettivi (anche per questo deve essere messo in piedi un sistema che in base a indicatori e monitoraggi possa evidenziare le inefficienze e gli interventi inefficaci);
  11. qualsiasi piano che riguardi la gestione del Cinghiale all’interno di aree naturali protette deve partire dall’applicazione di sistemi definiti “non cruenti”;
  12. nel caso di dimostrata inefficacia dei sistemi definiti “non cruenti” si potrà procedere a interventi di cattura basati su studi puntuali con obiettivi predefiniti, effettivamente gestiti dietro il controllo dell’area naturale protetta e affidati agli agricoltori;
  13. qualora anche la cattura dovesse risultare non efficace, va comunque escluso il selecontrollo attraverso abbattimento di capi affidato ai cacciatori. Il selecontrollo deve essere gestito, quale forma residuale e puntuale, da personale dell’area naturale protetta e da operatori dei corpi di polizia;
  14. non sono pertanto ipotizzabili interventi di “pronto intervento cinghiale” all’interno delle aree naturali protette, poiché incompatibili con le finalità stesse delle aree e con una gestione della specie, ameno che tale forma di intervento non sia limitata a eccezionali casi puntuali per motivi di incolumità e sicurezza;
  15. gli interventi di gestione del Cinghiale all’interno delle aree naturali protette, pur avendo diversi obiettivi e modalità di attuazione, devono sempre coordinarsi con i sistemi di gestione previsti nel restante territorio in relazione ai diversi istituti faunistici soggetti o meno al prelievo venatorio (attualmente questi non sono strutturati da poter essere considerati come efficaci e monitorabili o valutabili tramite indicatori di prestazione: continuare ad intervenire senza dati e in maniera scoordinata non può che aumentare il problema);
  16. in assenza di dati certi su numeri, consistenza e dinamiche di prelievo-obiettivo, un sistema di filiera di trasformazione delle carni di cinghiale rischia di essere un ulteriore elemento di perturbazione. Il soggetto chiamato ad investire per la creazione della filiera, volendo giustamente ammortizzare l’investimento fatto e mettere in funzione una attività remunerativa, richiederà un apporto di cinghiali costante (obiettivo di chi investe nella filiera non è ridurre il numero di cinghiali, ma averne un flusso costante);
  17. da ultimo, vanno ovviamente vietati interventi di sparo da automezzi o in periodo notturno all’interno di aree naturali protette poiché potenzialmente dannosi per le altre specie animali protette presenti e pertanto incompatibili con le finalità di conservazione delle aree protette.

WWF Italia Onlus, Abruzzo

domenica 9 settembre 2018

Cinghiali, Legambiente Abruzzo: siano gli Atc a pagare i danni

L’allarme dei sindaci della Val di Sangro e l’avversione ai cinghiali, per Legambiente, è stata innescata dai danni alle colture e dai ripetuti incidenti stradali causati dagli ungulati, con danni di carattere economico e sociale oltre che ecologico alla comunità e in particolare agli operatori economici, agricoli e turistici.

“La gestione inadeguata della fauna selvatica nella nostra regione oltre a dilapidare soldi pubblici e minacciare la conservazione della biodiversità, provocando una sovrappopolazione di cinghiali come conseguenza di politiche venatorie ad esclusivo vantaggio dei cacciatori – dichiara Luzio Nelli di Legambiente – Sono i cacciatori i responsabili di questa situazione e non saranno certo loro, o le loro proposte inaccettabili, a risolvere i problemi”.

No all’abbattimento a caso, i lupi insegnano. I cinghiali vivono in branco, spiegano gli esperti, con gli abbattimenti controllati e programmati dalla Provincia, si fa più danno perché potrebbe capitare che, nonostante personale esperto e formato, a finire nel mirino sia proprio la femmina che nel branco comanda ossia l‘individuo che tiene sotto controllo nascite e accoppiamenti, perché è lei che vigila sulla riproduzione e le nascite gestendo tutte le altre femmine del gruppo. Una femmina Alfa, insomma, che i lupi individuano e non si azzardano a colpire proprio per la funzione che svolge nel branco che, in mancanza, potrebbe ingigantirsi a tal punto da rendersi invincibile rispetto a qualsiasi altro branco o predatore. E potrebbe tranquillamente dominare su tutti devastando ogni cosa dato che di cibo ce n’è abbastanza ovunque per i cinghiali tra discariche abusive e non. Gli animali sanno ragionare e, a quanto pare, l’esperienza in campo insegna al lupo, ma non all’uomo.

Anche l’associazione ambientalista dice basta alla gestione venatoria del cinghiale e chiede di mettere in atto un modello innovativo per il controllo della specie domandando: “Piani di gestione della specie conformi alle linee guida emanate dall’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale (Ispra) con selecontrollo da personale formato e autorizzato e con catture attraverso gabbie o recinti – spiega Nelli – Una specie invasiva, i cinghiali, che meglio si adatta ai cambiamenti climatici a scapito di altre specie di maggiore valore ecologico. Consideriamo sbagliato il ricorso alla tecnica della braccata proposta dai sindaci – continua l’ambientalista – La gestione della fauna selvatica è completamente nelle mani dei cacciatori, sono loro che decidono dove, come e quando cacciare. Gli ambiti territoriali di caccia (Atc) sono da riformare perciò speriamo che anche gli agricoltori ne prendano, come noi, le distanze uscendo dai consigli di gestione. Per il sovrappopolamento del cinghiale devono essere gli stessi Atc a pagare i danni causati dalla fauna selvatica in eccesso. Questa nostra convinzione nasce dalla presa d’atto della recente decisione del Consiglio di Stato, del 5 luglio, che addossa ai cacciatori l’onere risarcitorio dei danni prodotti dalla fauna selvatica alla produzione agricola e zootecnica”. Legambiente potrebbe mettere in campo azioni risarcitorie ed è orientata ad una class action.


Fonte: report-age del 08 settembre 2018

sabato 8 settembre 2018

giovedì 6 settembre 2018

Abruzzo. Un flop la protesta dei cacciatori contro il calendario venatorio, nemmeno 50 a Pescara

Un flop la protesta dei cacciatori contro il calendario venatorio, nemmeno 50 a Pescara



Pescara. Meno di una cinquantina i manifestanti che stamane nel capoluogo adriatico sono scesi in piazza per protestare contro le scelte della Regione Abruzzo per un calendario venatorio classificato dai partecipanti: “Tra i più restrittivi d’Italia“.
Nei siti tematici per i cacciatori abruzzesi e molisani non è mancata la chiamata alle armi, annunciando una manifestazione di protesta organizzata per questa mattina, per contestare l’avvio della stagione venatoria 2018-2019 fissato al 16 settembre e che potrebbe slittare il primo ottobre se il Tribunale amministrativo regionale darà ragione al Wwf, Il 12 settembreil Tar Abruzzo si esprimerà sulla sospensiva richiesta dall’associazione ambientalista. Parte del mondo venatorio però è un po’ confuso visto che in alcuni siti ufficiali, gestiti dalle associazioni di categoria, risulta già che: “I cacciatori abruzzesi sono letteralmente furiosi per la mancata concessione dell’apertura della stagione venatoria 2018-2019 alla data del 16 settembre. Il no della Regione ha indispettito il mondo venatorio..“. Il mini corteo di cacciatori e familiari è partito dal piazzale della stazione ferroviaria poco dopo le ore 10, e a tanta solitudine di corso Umberto I si è aggiunto il vuoto cosmico di piazza Salotto, tralasciando il massiccio schieramento di forze dell’ordine che ha fatto da contorno. Alcuni rappresentanti dei cacciatori abruzzesi sono intervenuti criticando, in breve, le scelte della Regione Abruzzo. Forfait di alcune associazioni venatorie, altre hanno declinato l’invito a partecipare alla protesta di stamane, in sostanza, un flop smisurato e le ragioni potrebbero essere legate anche alla inadeguata capacità organizzativa, alla crisi che attraversa la categoria e le associazioni che non sembrano riuscire più a fare presa sugli iscritti, il numero si starebbe assottigliando, probabilmente i cacciatori non si sentono rappresentati, non mancano poi le divisioni. L’insuccesso di questa manifestazione rischiara aspetti del mondo venatorio poco dibattuti e dati per scontato che parlano di grandi numeri e di una vera e propria lobby che a guardare quanto è accaduto oggi sembra un tantino in crisi. Eppure al vertice c’è chi ancora accondiscende alle richieste delle doppiette. E se è solo il numero a fare la differenza, che influenza l’attività del legislatore e delle amministrazioni, allora andrebbe fatta una opportuna verifica anche delle vocazioni. In questa lobby sono piuttosto frequenti le crisi di coscienza se nel mirino finiscono animali innocui e riesce difficile spesso premere il grilletto. Di rado accade tra i produttori di armi che navigano però su altri lidi. Che nei cacciatori sia maturata una coscienza ecologista sono loro stessi a dirlo, ma questa volta non mancano indizi significativi. Di questo passaggio epocale le istituzioni dovrebbero tener conto. La Regione Abruzzo ci sta provando, grazie ad associazioni ambientaliste attente all’argomento. Proprio in questi giorni l’Abruzzo ha emanato un secondo calendario venatorio, a rettifica del precedente, che prevede ulteriori restrizioni per i cacciatori recependo così le prescrizioni del comitato regionale di Valutazione d’incidenza ambientale (Vinca), molte delle quali condivise dal Wwf, l’associazione che ha presentato ricorso al Tribunale amministrativo regionale d’Abruzzo sottolineando diverse irregolarità nel calendario appena approntato. Il 12 settembre il Tar Abruzzo si esprimerà sulla sospensiva richiesta dal Wwf che il 10 agosto ha annunciato anche di voler segnalare alla Corte dei Conti le scelte, già bocciate da precedenti sentenze del Tar, di politici e funzionari che continuano a sostenerle determinando uno sperpero di denaro a carico della comunità. L’elenco è lungo, di seguito, la cronistoria dei ricorsi al Tribunale amministrativo regionale per il calendario venatorio d’Abruzzo.

Fonte: Report-age.com del 06 settembre 2018